Il bilancio della legge: in 5 anni spesi 40 milioni di euro,
stabilizzate solo poche decine di ricercatori

Rientro dei «cervelli»?
400 su 450 rispediti all’estero.

«Ci hanno fatto tornare per 3 anni, ma i baroni continuano a sbarrarci la strada».

di Massimo Franchi da l'Unità dell'1/2/2007

 

NE ABBIAMO FATTI RIENTRARE 450 di cervelli in fuga. Di questi, bene che vada, ne rimarranno in Italia non più di settanta. Il tutto è costato allo Stato circa 40 milioni di euro in cinque anni. Ieri è scaduto il bando che permetteva agli atenei che avevano ac-

colto i ricercatori «scappati» all’estero di chiedere che diventassero docenti ordinari o associati. Le domande presentate al 15 dicembre erano una quarantina e solo dieci erano state approvate. Numeri che l’intervento del governo ha reso meno ridicoli, chiarendo al Consiglio universitario nazionale (organo che deve avallare le richieste) che il famigerato criterio dell’equipollenza non andava inteso in senso stretto. Il vecchio Cun, ligio alla logica baronale che vede di malocchio chi non proviene dall’orto di casa, approvava le domande solo nel caso in cui il ricercatore avesse già ricoperto una cattedra all’estero: equipollenza, appunto. Diversamente, anche se si lavorava al Cern di Ginevra come Sylvie Braibant, ricercatrice tornata all’Università di Bologna, non c’era modo di poter rimanere in Italia. L’intervento del ministero ha bloccato questa pratica e il nuovo Cun, che si insedierà il prossimo 9 febbraio, riconsidererà anche le domande bocciate senza equipollenza.

La sostanza però cambia poco. Le università le inventato tutte pur di non stabilizzare i cervelli rientrati. «Ci sono atenei - racconta Gabriele Grassi, coordinatore dei ricercatori - come quella di Siena che pur avendo anche 27 persone rientrate non faranno neanche una domanda di chiamata in ruolo. Bisogna superare il parere del dipartimento, poi quello della facoltà, per ultimo del Senato accademico. Parlano di spese troppo alte, anche se loro a noi dovrebbero pagare solo il 5% dello stipendio, il resto lo mette il ministero». Il vero motivo lo spiega il sottosegretario Luciano Modica, il primo a dare ascolto alle proteste dei ricercatori rientrati. «Nel mondo accademico è diffusa l’opinione per cui per diventare docente bisogna comunque superare un concorso e nel caso del programma di rientro i ricercatori venivano valutati per titoli. Si tratta - continua - di una mentalità difficile da scardinare che alimenta anche le storture del nostro sistema». Il caso di Aldo Colleoni, il 60enne console onorario della Mongolia che è stato richiamato dall’università di Macerata (prima dello stop di Mussi), non rientra nella casistica perché non si tratta di un cervello in fuga rientrato, ma la stortura dell’equipollenza (docente ad Ulaanbaatar, docente nelle Marche) è la stessa.

E così i circa 400 cervelli rientrati che non verranno stabilizzati avranno poche alternative. Erano arrivati volenterosi, accolti come il figliol prodigo con un contratto di tre anni (prolungabile solo per un altro) per fare ricerca, convinti di poter mettere radici. Si ritroveranno invece precari come i loro colleghi italiani. «Qualcuno avrà anche vinto un concorso - continua Gabriele - qualcuno avrà avuto altre offerte, ma la stragrande maggioranza dovrà tornare all’estero. Tutti noi quando abbiamo saputo della possibilità di tornare eravamo contenti perché credevamo che finalmente l’Italia fosse cambiata, riconoscesse il merito e si fosse stancata di spendere per formare ricercatori che poi vanno a lavorare nelle più prestigiose università americane o inglesi. Invece è cambiato ben poco, solo le università più illuminate, come spero la mia, vogliono realmente investire su di noi». Il governo però non vede catastrofi. «Capisco la delusione dei ricercatori rientrati ma il progetto - motiva Modica - messo in piedi da Zecchino nel 2001 e poi portato avanti dalla Moratti con fortune alterne, prevedeva un’attività di ricerca di tre anni, non prometteva assunzioni e si rivolgeva anche ai ricercatori stranieri. Per il 2007 dobbiamo ancora fissare lo stanziamento ma andremo sicuramente avanti. La vera svolta verrà sul reclutamento e sui concorsi: premieremo il talento e combatteremo il localismo».