I precari e le scuola paritarie. di Maria Zammitti da Fuoriregistro del 14/2/2007
Tra pochi mesi gli insegnanti precari saranno
chiamati ad aggiornare il proprio punteggio nelle nuove graduatorie ad
esaurimento. Questa circostanza sarà occasione per il ripresentarsi di
una stortura che da anni affligge la loro vita professionale: la
valutazione piena del punteggio svolto nelle scuole paritarie. Essa,
allo stato attuale della legislazione, presenta numerosi aspetti
problematici che, vista l'attuale emergenza della situazione del
precariato scolastico, non è più possibile ignorare. L'attuale legislazione prevede l'attribuzione a ciascun docente della scuola pubblica di 12 punti in graduatoria per ogni anno di servizio. Lo stesso punteggio è riconosciuto anche agli insegnanti della scuola paritaria. Perchè lo stato assume prioritariamente i dipendenti della "concorrenza" invece di regolarizzare i propri precari? Il paradosso consiste nel fatto che un docente, lavorando presso la scuola paritaria, matura punteggio pieno in una graduatoria che non è stata affatto consultata al momento della sua assunzione. Le scuole paritarie, infatti, reclutano il proprio personale senza utilizzare alcuna graduatoria: l'assunzione avviene in seguito a colloqui con gli aspiranti, in base ad una procedura di reclutamento non assimilabile a quella degli usp per le nomine annuali o delle scuole pubbliche per le supplenze. Questa disparità nella modalità di assunzione non ha un riscontro nell'attribuzione del punteggio: certamente la professione svolta dai docenti nella scuola paritaria e in quella statale è la stessa ma le condizioni in base alle quali vi si accede non sono analoghe, dal momento che le scuole paritarie non considerano né l'anzianità di servizio né il voto di abilitazione. Il lavoro dell'insegnante precario serve davvero allo Stato? La scuola pubblica ha sempre bisogno di personale precario: diversamente non potrebbe coprire le supplenze brevi e temporanee, né soddisfare le esigenze relative all'organico di fatto. Il docente precario lavora per lo Stato senza alcuna certezza relativa alla propria condizione professionale, viene licenziato durante i mesi estivi, non può contare sulla continuità didattica, è costretto a continui cambiamenti di sede; è inoltre disponibile a coprire posti vacanti per supplenze brevi (anche solo per una o due settimane) in località spesso impervie, ed è obbligato ad aspettare con ansia la riapertura delle gp, virtualmente in balia delle modificazione apportate dal legislatore relativamente alla valutazione di titoli e punteggi. Tutto ciò non riguarda i docenti che lavorano presso le scuole paritarie: essi sono assunti prevalentemente a tempo indeterminato o comunque per tutto l'arco dell'anno scolastico, non sono condannati ad incarichi saltuari, non subiscono cambiamenti di sede ed hanno diritto alla continuità didattica. Soprattutto, chi presta servizio nella scuola paritaria risulta sempre indisponibile alle chiamate dello Stato, comprese, ovviamente, quelle più svantaggiose in termini di durata del contratto e di comodità di sede. Il servizio reso nelle scuole dello Stato non dovrebbe essere salvaguardato? I sacrifici affrontati dai precari della scuola, però, non vengono adeguatamente ricompensati dallo Stato: infatti un insegnante che abbia lavorato esclusivamente presso la scuola pubblica per, ad esempio, quindici anni viene posposto, al momento dell'immissione in ruolo, ad un collega che abbia prestato servizio per tredici anni presso una scuola paritaria ma che risulti avere un punteggio superiore: infatti i precari della scuola statale maturano punteggio solo per i giorni in cui effettivamente hanno lavorato, e non è raro che nell'arco di un anno scolastico essi non riescano a lavorare continuativamente e quindi a vedersi riconoscere non solo ogni mensilità di stipendio ma nemmeno i famigerati 12 punti. Quello che si determina ogni anno al momento delle immissioni è un paradosso paragonabile a ciò che accadrebbe se la Fiat preferisse assumere a tempo indeterminato un ex dipendente della Ford piuttosto che regolarizzare un suo proprio dipente a tempo determinato. Insomma, accade spesso che i precari lavorino nella scuola pubblica allo scopo di tenere in caldo il posto di ruolo per chi sceglie di lavorare per un datore di lavoro privato fino alla chiamata a vita a da parte dello Stato. Perchè proprio gli insegnanti delle scuole statali devono essere penalizzati? La condizione del precario nella scuola pubblica, dunque, non è rosea. Certamente non lo è nemmeno quella del docente della scuola paritaria, dal momento che quest'ultima offre una retribuzione inferiore e richiede un monte-ore spesso maggiore rispetto alla pubblica: è questo il motivo per cui gli insegnanti della paritaria, appena possono farlo senza eccessivi disagi, passano nella statale. Accettare queste condizioni di lavoro è però facoltà e scelta del singolo insegnante, scelta che non può comportare una contropartita, in termini di punteggio, in una graduatoria dello Stato, e soprattutto non può penalizzare i precari che per lo Stato lavorano. C'è una soluzione per un'equa attribuzione del punteggio nelle graduatorie dello Stato? Può essere condivisibile che lo Stato riconosca un punteggio per il servizio svolto presso un istituto paritario: non c'è dubbio, infatti, che il lavoro maturato in una scuola paritaria sia assimilabile, sul piano della professionalità e delle mansioni, a quello svolto presso la scuola pubblica.
E' tuttavia iniquo che questo riconoscimento sia
identico a quello attribuito a chi mette la propria professionalità
esclusivamente a disposizione dello Stato, con i disagi che questo
comporta... |