Una ricerca in 29 Paesi conferma l'allarme lanciato dalla Commissione UE
Ma l'Italia si salva: le aziende italiane fra le più attente alle strategie linguisitiche

Europei bocciati in lingue straniere
Così le imprese perdono 100 miliardi.

Alberto D'Argenio, la Repubblica, 23/2/2007

 

BRUXELLES - Le piccole e medie imprese europee attive nel settore dell'export sono quasi un milione (945 mila, per la precisione). E perdono in media ciascuna oltre centomila euro all'anno in contratti mancati a causa della scarsa o insufficiente conoscenza delle lingue straniere. Se ne desume che il danno complessivo dunque, potrebbe essere valutato in circa cento miliardi di euro.

E' questo il dato più impressionante che emerge da uno studio sulle carenze nella conoscenza delle lingue straniere che la Commissione europea ha fatto condurre intervistando i responsabili di duemila piccole e medie imprese in 29 paesi europei (i 27 stati membri più Norvegia e Islanda), comparando i risultati con i dati emersi da una indagine parallela condotta su trenta grandi gruppi multinazionali. Delle duemila aziende interpellate, l'undici per cento ha ammesso di aver perso possibili contratti di export a causa della scarsa conoscenza di una lingua straniera. Anche se è possibile che il danno subito sia andato a beneficio di altri concorrenti europei, resta comunque il fatto che la padronanza delle lingue e, secondo il rapporto, anche la conoscenza delle diverse culture, costituisce un serio handicap alla produttività di molte imprese esportatrici, soprattutto di dimensioni medio-piccole.

L'indagine ha valutato quattro tipi di "strategia linguistica" per facilitare il contatto con i clienti: assunzione di personale con conoscenza delle lingue, traduzione dei propri siti web in una lingue diversa da quella d'origine, utilizzo di interpreti e di traduttori, e infine ricorso ad agenti locali di madrelingua straniera. In base alle conclusioni a cui sono giunti i ricercatori, risulta che le piccole e medie imprese che hanno investito in questi quattro settori adottando una adeguata "strategia linguistica" registrano vendite mediamente superiori del 44 per cento rispetto ai concorrenti che non lo hanno fatto.

La lingua d'affari più diffusa è, ovviamente, l'inglese. Ma il rapporto avverte che non sempre questo basta per affermarsi su un mercato. Il russo, per esempio, viene usato come lingua franca in molti Paesi dell'est Europeo, insieme con il tedesco e il polacco. Il francese è lingua corrente per chi vuol fare affari con una larga parte dell'Africa, e così lo spagnolo per l'America Latina.

Nonostante il punto di partenza relativamente svantaggiato, o forse proprio per questo, dal questionario comparativo che viene fornito in allegato al rapporto risulta che le pmi italiane non sono poi messe male rispetto alle concorrenti europee. Il 55 per cento, afferma di aver adottato una "strategia linguistica" contro il 40 per cento dei francesi, il 44 per cento degli spagnoli e solo il 3 per cento dei britannici. Tra i grandi Paesi, solo la Germania ci supera con un 63 per cento dichiarato.Solo l'8 per cento delle imprese italiane lamenta di aver perso contratti a causa della scarsa padronanza delle lingue straniere contro una media europea dell'11 per cento, che è ancora più alta per francesi e spagnoli (13 per cento).

Gli italiani risultano invece nettamente sotto la media europea quando si tratta di offrire ai propri dipendenti corsi integrativi di lingue straniere. Solo il 32 per cento dichiara di aver mai organizzato o finanziato corsi di lingue per il proprio personale, contro una media europea del 49 per cento. I tedeschi sono al 54 per cento, i francesi al 47 per cento, gli spagnoli al 56 per cento. In compenso le nostre imprese risultano più aperte delle concorrenti europee circa le necessità di capire meglio, al di là della lingua, la realtà dei Paesi dove operano. Alla domanda: ritenete che la vostra società debba migliorare la propria conoscenza di altri paesi nei prossimi tre anni, il 31 per cento degli italiani rispondono positivamente, contro una media europea del 20 per cento. Molto più soddisfatti di sé appaiono i francesi (19 per cento), gli spagnoli (16 per cento). E, manco a dirlo, i britannici con solo l'1 per cento.