Finché si continuano a studiare nozioni
Prima di tutto occorre fare una «riforma
dell'insegnante»,
di Stefania Pozio,
Tutti si chiedono perché gli studenti italiani
riportino risultati deludenti alle prove di matematica e di scienze
dell'indagine Ocse. Innanzitutto bisogna tener presente un dato
importante: i nostri studenti sono quelli che omettono di più le
domande, cioè non rispondono proprio, lasciano in bianco le risposte e
poiché, per il Pisa 2006, una risposta omessa è considerata a tutti
gli effetti errata, questo aumenta la percentuale di errore. La
percentuale più alta di omissioni, pari a quasi il 40%, con punte
addirittura del 70%, riguarda domande che prevedono risposte aperte
articolate: quelle, cioè, in cui si richiede allo studente di scrivere
il proprio ragionamento. Questo potrebbe essere un segnale del fatto
che a scuola i nostri studenti non sono abituati a esplicitare il
proprio ragionamento e quindi, di fronte a una tale richiesta,
preferiscono non rispondere piuttosto che tentare di dare una risposta
non corretta. Cerchiamo comunque di capire che cosa l'Ocse vuole
misurare con questa rilevazione. Vuole sapere quanto gli studenti, al
termine della scuola dell'obbligo, abbiano acquisito competenze
necessarie per poter esercitare un ruolo attivo e responsabile nella
società, quanto cioè siano in grado di poter essere, un domani, forza
lavoro. Quindi l'Ocse non è tanto interessato a che cosa si studia
quanto all'uso funzionale di ciò che si apprende. Ma cosa si intende
per competenze? Si intende la capacità di saper utilizzare in modo
funzionale le conoscenze, cioè essere in grado di attivare l'insieme
delle conoscenze e delle abilità di tipo matematico o scientifico che
si sono apprese per risolvere i tipi di problemi con cui ci si deve
confrontare nella vita quotidiana. Ora, la scuola italiana è più una
scuola di conoscenze che non di competenze. I nostri studenti studiano
molte materie, soprattutto umanistiche più che scientifiche, ma tutto
resta a livello di conoscenze, spesso nozionistiche, e non si tramuta
in competenze. Tutto ciò che viene insegnato ha poca aderenza con la
realtà, molti studenti considerano inutili le cose che studiano a
scuola. L'acquisizione di competenze richiede di più di un semplice
immagazzinamento di elementi di conoscenza: occorre che lo studente
sia capace di usare tale conoscenza, di applicarla nella risoluzione
di problemi reali. Ma qualcosa ultimamente nella scuola italiana sta
cambiando. Nell'ultimo documento pubblicato dal ministero
dell'istruzione che riguarda le Indicazioni per il curricolo per la
scuola d'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione, si legge, a
proposito della matematica: «Caratteristica della pratica matematica è
la risoluzione di problemi, che devono essere intesi come questioni
autentiche e significative, legate spesso alla vita quotidiana, e non
solo esercizi a carattere ripetitivo o quesiti ai quali si risponde
semplicemente ricordando una definizione o una regola» (pag. 93). Il
messaggio è chiaro: la didattica va cambiata, ma per fare questo è
necessaria una formazione obbligatoria per gli insegnanti e questo è
un altro problema della scuola italiana. Siamo uno tra i pochi paesi
al mondo che non ha la valutazione degli insegnanti e di conseguenza
la formazione in servizio è legata alla buona volontà del singolo
docente. È ormai opinione largamente condivisa che ogni miglioramento
del nostro sistema scolastico deve prima di tutto passare attraverso
una «riforma dell'insegnante», la cui azione non può considerarsi
corretta, e nemmeno sufficiente, se il suo intervento si riduce ad una
mera trasmissione di conoscenze. |