Studenti asini: colpa dei prof o del sistema?
Pasquale Almirante, da
La Sicilia del
2/12/2007
Il capitale umano è la risorsa vincente della
società occidentale a causa del repentino cambiamento dell’economia da
materiale a immateriale e quindi del passaggio dai grandi impianti
industriali e dai macchinari ai servizi, alla comunicazione, alla
ricerca tecnologica, all’uso del tempo libero; ciò significa che per
stare saldi sul fronte della competitività internazionale bisognerebbe
puntare sulla valorizzazione della conoscenza.
Dice infatti un rapporto presentato a Bruxelles da Eurofound: «In
Svezia i lavoratori della conoscenza sono il quasi il 60% del totale
della forza lavoro, nel Regno Unito e in Danimarca raggiungono il 50%
mentre da noi solo il 37%, superati anche da Germania (44 %) e dalla
Francia (43%)». E’ notizia recentissima che gli studenti italiani
«sono al 38° posto fra 57 Paesi analizzati dall’Ocse quanto a
conoscenze scientifiche; sono i peggiori dei Paesi del G7 e i
terzultimi fra i Paesi Ue.
Nella scala della conoscenza scientifica degli studenti dei 57 Paesi
analizzati, l’Italia risulta così nella fascia dei Paesi
"significativamente al di sotto della media Ocse", con 475 punti,
mentre in cima i ragazzi della Finlandia, seguiti da Hong Kong e dal
Canada"».
Altre ricerche hanno inoltre evidenziato che studiare è un
investimento visto che l’occupazione aumenta in relazione ai risultati
scolastici tanto che i laureati guadagnano almeno il 50% in più di chi
ne è sprovvisto. Il nostro sistema di istruzione invece pare sempre
più balbettante e tutto si riduce nella riproposizione di rimedi
antichi che alla fine poco cambiano nella prospettiva generale mentre
i programmi rimangono per lo più obsoleti. Nello stesso tempo sembra
che da parte degli organismi rappresentativi dei docenti, sindacati e
associazioni, non ci sia una denuncia forte di queste colpevoli
carenze dello Stato, che da un lato si è assunto l’onere
dell’educazione dei cittadini ma dall’altro si ostina a non
intervenire seriamente come è nelle sue prerogative costituzionali,
mentre è sempre più evidente l’insoddisfazione e l’inadeguatezza dei
docenti nei confronti del mestiere che svolgono e che si sta riducendo
sempre più a sciatto servizio burocratico.
Pare poi farsi sempre più strada l’idea, sibilata dal ministro e da un
manipolo di presidi nostalgici di autoritarismo, che se colpe nella
scuola ci sono, la responsabilità è da appiccicare ai docenti
fannulloni, pigri e impreparati al contrario del loro effettivo ruolo
nella scuola che dovrebbe essere quello di missionari impegnati
nell’educazione e di profetici Zarathustra della cultura. Un’idea
peraltro enfatizzata dal godimento di lunghe vacanze e dal carico di
ore di lavoro a settimana che però a conti fatti di pochissimo si
discosta dai colleghi europei.
Ma chiediamo: perché in Finlandia con meno ore settimanali di lezione
gli alunni riescono meglio dei nostri? Non abbiamo risposte ma
aggiungiamo che anche la Sanità, i servizi e l’occupazione vanno
meglio da quelle parti, compresa la classe politica e quindi
l’efficienza dello Stato. Inoltre l’insegnante non è altro che il
commesso dei prodotti del ministero e se deve piazzarli come meritano,
rigore morale vuole che essi siano buoni e di ottima qualità non già
affastellati alla meno peggio e soprattutto scaduti.
E non solo, ma correttezza vuole che il rappresentate dello Stato, il
professore, sia tenuto nelle giuste considerazioni in termini di luogo
di lavoro, di dignitosa visibilità e di garanzie economiche e
giuridiche; un mandatario dello Stato con un peso sociale importante,
che sia punto di riferimento e modello di vita possibile e soprattutto
che goda il giusto rispetto per ciò che egli rappresenta e per ciò che
ogni giorno elargisce.
Se tutto questo lo Stato stura con politiche adeguate allora si può
con più ottimismo incominciare a parlare di formazione di lavoratori
della conoscenza in cui la buona volontà e il merito non siano
sinonimi di secchione come bullo di intelligente e furbo.