La scuola di...primavera.

di Giancarlo Cerini, da ScuolaOggi del 16/4/2007*

 

La legge finanziaria per il 2007 ha il merito (insieme ai molti “demeriti” di cui si è straparlato in questi mesi) di riaprire il capitolo delle politiche per l’infanzia: oltre al rilancio degli asili nido (con un apposito stanziamento a bilancio) e ad altri benefici in materia di politiche sociali (in termini di sostegno alle famiglie con bambini al di sotto dei 3 anni), introduce una novità nel panorama dei servizi educativi. Si tratta dell’istituzione delle “sezioni sperimentali aggregate alle scuole dell’infanzia” rivolte ad una potenziale utenza di bambini tra i 24 ed i 36 mesi di età. Sostanzialmente potremmo paragonare questo nuovo servizio alle sezioni per bambini “grandi” degli asili nido, così come si sono venuti strutturando in questi decenni, a partire dalla legge istitutiva del 1971 (la 1044).

Ma allora, dove sta la novità? Intanto nella possibilità di collocare “fisicamente” queste sezioni all’interno delle scuole dell’infanzia, che in genere accolgono bambini dai 3 ai 6 anni. Questo fatto potrebbe facilitare l’istituzione del servizio anche là ove non esistono “nidi d’infanzia” (ovviamente curando la qualità degli ambienti e degli spazi). Qualche malizioso commentatore potrebbe sussurrare che, dopo tanto strepito, torna l’anticipo di “morattiana” memoria. In fondo, se si è contestato per ragioni pedagogiche l’anticipo di 4 mesi dell’età di iscrizione alle scuole dell’infanzia (3 anni), come si fa ora ad accogliere un’intera annualità, quella compresa tra i 24 ed i 36 mesi di età (anche se nelle prime ipotesi la preferenza va per i bambini che compiono i tre anni tra gennaio ed aprile)?

Va subito precisato che le sezioni primavera non sono un anticipo sotto mentite spoglie, ma l’unica possibile alternativa all’anticipo (che in questi anni ha raccolto molto consenso tra i genitori, specie nel centro-sud). Si tratta infatti di costruire un ambiente educativo a misura di bambini, dedicato, con ambienti e strutture adeguate, con un rapporto numerico del tutto particolare tra educatori e bambini (comunque sempre al di sotto dell’1:10), con uno specifico progetto pedagogico intitolato all’accoglienza, alla cura educativa, allo sviluppo graduale di autonomie, alla progressiva organizzazione della conoscenza del sé, degli altri e del mondo. Sono obiettivi significativi, non meramente assistenziali, ma ricchi di potenzialità e di messaggi educativi.

Certo, potrebbero contaminare la pedagogia della scuola dell’infanzia, ma si tratta di una contaminazione utile, capace di interrogare la scuola per i bambini dai 3 ai 6 anni con domande intelligenti, sull’idea di bambino, di identità, di apprendimento, di relazione, di potenzialità, cioè sugli aspetti di fondo di una buona pedagogia dell’infanzia. In fondo, saper “vedere” un bambino di due anni e mezzo può aiutare a vedere meglio un bambino di tre anni.

Ovviamente devono essere garantite tutte le condizioni organizzative e pedagogiche per farlo: non era certo questo l’anticipo della legge 53/2003 che inseriva “casualmente” bambini al di sotto di tre anni spesso in sezioni stracolme fino ed oltre i 28 bambini.

Il secondo elemento di novità riguarda la discesa in campo, per così dire, dello Stato. Tradizionalmente il settore 0-3 è stato appannaggio dei Comuni (e progressivamente si è allargato al settore privato, convenzionato o no). Recentemente anche il settore delle scuole materne non statali (in particolare la FISM, la federazione che le rappresenta in maggioranza) ha attivato numerose esperienze di apertura delle scuole ai bambini al di sotto dei 3 anni: non tanto come anticipo “selvaggio” (anche se questo ancora accade in qualche contrada del nostro paese), ma passando attraverso la regolamentazione regionale (ed i conseguenti finanziamenti) di particolari tipologie di servizi educativi, spesso per bambini dai 2 ai 3 anni, in alcuni casi denominate “sezioni primavera”.

Tuttavia, gli orientamenti giurisprudenziali al massimo livello (ci riferiamo a numerose sentenze della Corte Costituzionale) hanno messo in evidenza il carattere prevalentemente educativo dell’asilo nido, facendolo gravitare verso l’area dell’istruzione. C’è qualche rischio di scolarizzazione in questa impostazione, ma almeno si potrebbe superare l’annosa dicitura di “servizio a domanda individuale” attribuita al nido (con i relativi oneri per i genitori), che certamente non aiuta la diffusione ed il radicamento di questa esperienza. Siamo infatti assai lontani dal traguardo del 33% di copertura della popolazione di età 0-3 anni che l’Europa ci chiede.

L’intervento dello Stato, sotto forma di sperimentazione graduale (stante la delicatezza ed il carattere innovativo dell’esperienza, la partecipazione dei docenti di scuola materna statale dovrebbe avvenire solo a domanda, con adeguati incentivi), potrebbe colmare un vuoto che si presenta in molte zone del nostro paese (pensiamo alle aree urbane ed alle aree interne del profondo Sud), mettendo a disposizione risorse (in particolare posti di organico docente) e facendo leva su una rete capillare di scuole dell’infanzia, cui “aggregare” le nuove sezioni.

Sappiamo come la diffusione dei nidi abbia trovato molti ostacoli in varie regioni italiani (i dati che presentiamo in questo nucleo monografico sono in proposito emblematici) e come invece la domanda dei genitori si stia diffondendo anche in quelle zone (come rivelano i dati sull’anticipo). Ma anche al Nord il servizio primavera può completare un’offerta di servizio, senza mettere per nulla in crisi il ceppo storico degli asili nido. Forse il concorso congiunto dello Stato, dei Comuni (che hanno maggiori tradizioni in merito) e del privato paritario potrebbe rinnovare quella “alleanza virtuosa” che ha dato tanto alla scuola per i bambini dai 3 ai 6 anni. Forse l’unica chanche italiana per portarsi sugli standard europei.


Dopo l’effetto annuncio, le buone pratiche

Naturalmente non basta “annunciare” un servizio per poterlo realizzare, in questo caso –ambiziosamente- fin dal settembre 2007, anche perché da quella stessa data dovrebbe decorrere l’abrogazione dell’anticipo sotto i tre anni. Le variabili in gioco sono ancora molte, proviamo ad enuclearle brevemente:

a) necessità di un accordo Stato-Regioni-Autonomie locali, stante il carattere “concorrente” di tutta la materia, che vede una priorità legislativa delle Regioni nei servizi educativi al di sotto dei 3 anni;

b) definizione di standard ottimali di funzionamento: ad esempio, un numero massimo di 20 bambini per sezione, 2-3 insegnanti assegnati (in base agli orari di apertura), almeno 1 figura ausiliaria dedicata, ecc. Intelligente sarebbe affiancare insieme docenti di scuola dell’infanzia e docenti di nido;

c) reperimento delle risorse finanziarie per sostenere Comuni, Stato e privato paritario che si volessero impegnare ad aprire sezioni primavera (il costo pro-capite oscilla tra quello di una sezione “grandi” dei nidi ed una sezione dei 3 anni di scuola materna); i fondi aggiuntivi sono “sparsi” all’interno della legge finanziaria 2007 ed occorre fare uno sforzo per unificarli in un unico e visibile budget sulla base dell’obiettivo che ci si dà: è credibile pensare a 1.000 sezioni nel biennio 2007 e 2008;

d) definizione delle condizioni dell’intervento dello Stato: progetto sperimentale, sulla base di accordi su base regionale e comunale, che dovrà poi essere sottoposto al vaglio dei collegi dei docenti ed alla adesione degli insegnanti interessati;

e) apertura di tavoli di concertazione, nazionali, regionali, locali, per definire tutte le condizioni di attivazione dei nuovi servizi (dalla apertura delle iscrizioni al reperimento dei locali, dalla assegnazione del personale alle forme di co-finanziamento e di partecipazione dei genitori alle spese di gestione);

f) disponibilità degli enti locali a farsi carico del sostegno all’iniziativa (sulla base degli oneri previsti per legge quando si apre una scuola dell’infanzia). Ovviamente, ci aspetta di più, sulla stregua di quanto avviene già in alcuni comuni italiani, attraverso convenzioni con gli enti che gestiscono sezioni primavera. In via ottimale si potrebbero anche prevedere forme di integrazione di competenze, ad esempio: un insegnante di nido comunale assegnato ad una sezione primavera, da affiancare ai due docenti di scuola dell’infanzia statali, per costruire un team del tutto affidabile sul piano psicopedagogico e delle competenze.

Non sono tutte rose e fiori, ma l’impresa vale la pena di essere almeno pensata, perché al crocevia di tante domande ed esigenze di forte spessore: rispondere ad una pressante richiesta dei genitori (con visibili liste d’attesa per i nidi), riconfermare le operose tradizioni della pedagogia dell’infanzia italiana, rinsaldare l’integrazione e la concertazione tra i diversi soggetti istituzionali che si occupano di infanzia.

A questo tema sarà dedicata una intensa giornata di studi che si svolgerà a Modena sabato 28 aprile 2007, con la presenza di autorevoli pedagogisti e rappresentanti delle istituzioni e delle organizzazioni professionali e sindacali. (v.programma).
 

(*) Articolo introduttivo al nucleo monografico dedicato alle sezioni primavera apparso sul n. 1 gennaio-febbraio 2007, di “Rivista dell’istruzione”, Maggioli, Rimini.