La scuola si muove ma non corre. Marina Boscaino da l'Unità del 7/4/2007
«Precario» è una di quelle parole che sta
perdendo progressivamente il suo senso per via dell’uso (e dell’abuso)
che se ne fa quotidianamente. Un abuso non determinato da imperizia
linguistica, ma dalle condizioni socio-economiche nelle quali abbiamo
l’avventura di esistere. Una parola che sta perdendo il senso tragico
del suo significato, tanta è la frequenza con cui ricorre nei
discorsi. La precarietà diventa a tutti gli effetti dimensione
esistenziale, perché fotografa la vocazione prevalente dei nostri
giorni. Basti pensare all’atteggiamento rassegnato con cui si guarda
alla precarietà lavorativa dei giovani, condizione normale, abituale
oggi più che mai. Ma il fenomeno del precariato nella scuola è di
matrice diversa, ha una sua specifica dimensione; al punto che è stato
coniata un’apposita definizione («precariato storico») per individuare
una tendenza che si è sclerotizzata con il passare dei lustri, che è
diventata parte integrante (e necessaria) del sistema. Per i non
addetti ai lavori, un dato significativo: l’età media dei precari -
come ci racconta il rapporto «Treelle» sul precariato - è di 39 anni.
Del resto basta fare un giro nelle scuole per rendersi conto di quanto
siano nuove le nuove leve. Sempre per i non addetti ai lavori, è utile
sapere che essere precario nella scuola significa spesso cambiare
classe (e scuola) ogni anno; avere un contratto che - quando non si è
fortunati - si conclude con gli scrutini e non include i mesi estivi;
essere sempre l’ultimo arrivato, l’ultimo ad aver voce in capitolo,
anche nell’ambiente più accogliente e democratico. Parlare di
investimento professionale a quell’età e in queste condizioni appare
particolarmente ardito. Eppure molti sono i precari che mandano avanti
parti della scuola italiana. A queste persone il sistema chiede
motivazione contro mancanza di garanzie di continuità, stipendi
umilianti spesso a mensilità ridotte, mobilità territoriale (gli
alunni aumentano a Nord, la disponibilità delle cattedre è a Nord; i
precari sono prevalentemente a Sud). Sono condizioni proibitive che
scoraggiano progetti di vita, inducono delegittimazione sociale,
creano disillusione, crisi di motivazione. È un esercizio di costanza,
uno stato di pura sopravvivenza per continuare a esistere come
insegnante. Ed è un sacrificio continuo per la qualità del sistema
dell’istruzione.
Né l’intesa firmata a Palazzo Chigi sulle
risorse per i rinnovi contrattuali, per le risorse specifiche sul
contratto scuola, per i tempi di emanazione degli atti di indirizzo,
per la convocazione del tavolo per il memorandum sulla Conoscenza, né
la sottoscrizione del decreto interministeriale per queste assunzioni
promettono di fermare gli scioperi del 16 aprile. |