Faccio le stesse cose di un tempo, sono i
ragazzi ad essere diventati diversi
Il fannullone, l'impreparato, l'ansiosa
«La colpa? Degli studenti, non nostra».
Tre casi (non limite) di insegnanti
raccontati dai verbali degli ispettori
Marco Imarisio Il Corriere della Sera dell'11/4/2007
A leggere le relazioni degli ispettori ci si
sente quasi colpevoli. Come chi guarda dal buco della serratura un
professore, e la sua classe. Magari sepolta sotto un lessico
burocratico, ma nei verbali degli «Affari interni» del ministero della
Pubblica Istruzione scorre un pezzo di vita vera della scuola, quello
meno bello. La fatica quotidiana, l'autostima in picchiata degli
insegnanti, il loro malessere, e in alcuni casi una buona dose di
cialtroneria. Ci si può sentire male, nell'assistere al calvario
personale della professoressa C. che insiste nel negare la sua
incapacità di adattarsi a una realtà «che non è più come quando avevo
cominciato». Si può provare rabbia davanti all'ostentato menefreghismo
del suo collega R. che spezzetta le proprie assenze per impedire la
nomina di un supplente e manda la sua classe al macello nell'anno
della maturità.
Sono documenti che dicono molto, tranne della propria utilità. A
scuola, le punizioni e i provvedimenti sono spesso virtuali. Se
l'interessato fa ricorso, e lo fa quasi sempre, si riparte da capo.
Comunque, funziona così: un preside riceve le lamentele di studenti,
genitori o colleghi. Se non trova altre soluzioni, chiama l'Ufficio
scolastico provinciale, il quale esamina il caso e inoltra la
richiesta di ispezione all'Ufficio scolastico regionale che manda un
suo esperto. La «verifica ispettiva» e il suo esito compiono il
percorso inverso, fino a essere notificati al diretto interessato.
Dopo le sue controdeduzioni, il primo grado di giudizio spetta al
Consiglio provinciale di disciplina, ma in caso (frequentissimo) di
ricorso la pratica finisce a Roma, alla Sezione disciplinare del
Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione, che essendo anche
organo di tutela sindacale per sua natura è portato a troncare,
sopire. Tempo medio dall'arrivo degli ispettori alla decisione
definitiva: un anno e mezzo. Durante il quale il docente sotto
osservazione continua a insegnare. Quelle che seguono sono storie che
nella loro essenzialità riassumono alcune patologie della scuola
d'oggi. Si è ovviamente scelto di mantenere l'anonimato su persone e
luoghi.
IL DISAGIO DELLA PROF
- Era una come tante. Da quindici anni insegnava nello stesso
Istituto, mai nessuna lamentela sul suo conto. Nell'ottobre del 2004
la professoressa C. incomincia a sentirsi perseguitata dai colleghi.
«Mi hanno emarginato» dice all'ispettore. I suoi studenti non hanno
pietà. La vedono in difficoltà e iniziano ad approfittarne. La
dileggiano, le ridono in faccia, la sfottono per l'aspetto trasandato.
Comincia ad accumulare assenze su assenze, una docente che negli anni
precedenti aveva fatto solo quattro giorni di malattia. È entrata in
una spirale negativa «nella quale — scrive l'ispettore — la qualità
didattica decade rapidamente in ogni suo aspetto». Nei primi due
colloqui, la professoressa C. «tende a rifiutare questa sua immagine».
Nega che vi siano problemi, sostiene che è tutto normale. Solo al
termine dell'ultimo incontro chiede che venga verbalizzata una sua
«dichiarazione difensiva». Questa: «Io ho sempre insegnato. Faccio le
stesse cose di un tempo. Sono i ragazzi che sono diventati diversi.
Non riesco più a capirli, e non capisco perché non mi seguono». In un
nuovo incontro la professoressa C. comincia a parlare di quello che
l'ispettore definisce «un disagio intervenuto». Soffre di ansia, la
sola idea di uscire di casa ed entrare in classe «provoca sconforto
morale e fisico». Lentamente, «accetta la procedura». Si sottopone ad
una visita medico-collegiale. L'inidoneità all'insegnamento arriva
come una liberazione.
QUELLO CHE NON SA
- «Alza la voce». Gli studenti urlano al professor G. di farsi almeno
sentire. Quattro mesi dopo, non fanno più nemmeno quello. Nelle sue
ore, quando lui entra, loro escono. L'insegnante soffre di «incapacità
didattica conclamata» secondo l'ispettore. «La sua conoscenza della
materia si è totalmente diradata nel tempo». L'inviato del ministero
assiste alle lezioni del professor G. e capisce che il problema non è
solo nella sopraggiunta ignoranza di una materia studiata vent'anni
prima. «L'incapacità professionale è dovuta anche a una situazione di
scarsa autostima che si riflette in una bassissima immagine di sé».
L'insegnante fa lezione con tono di voce sommesso, rigido, le mani
abbandonate lungo i fianchi, rivolgendo le spalle agli studenti. Nel
colloquio con l'ispettore non riconosce il problema. Agli studenti,
che gli chiedono di spiegare argomenti che loro, da soli, riconoscono
come importanti, contrappone un rifiuto netto. «Stessero attenti,
imparerebbero. Io spiego, e a chi non segue metto un 2 sul registro» è
la sua tesi. Nell'atteggiamento «di totale chiusura del professor G.,
che gli consente di frapporre un muro tra sé e gli altri», l'ispettore
rileva come all'insegnante «manchi del tutto la coscienza della
funzione di apprendimento degli studenti». Viene formulata una
richiesta di «dispensa dal servizio», ovvero l'assegnazione «ad altro
incarico». Il professor G. fa ricorso. Viene decisa un'altra
ispezione.
ODIO PER GLI OBBLIGHI
- «Il professor R. dimostra una compiaciuta e totale inosservanza dei
più banali obblighi di servizio». A questa realtà «indiscussa da
colleghi, dirigenti superiori e alunni» oppone uno «stato di
permanente e strumentale aggressività, all'interno del quale ogni
pretesto risulta utile per creare conflitto e tensione all'interno
dell'Istituto». Il professor R. «non conosce il programma e non gli
importa di conoscerlo». In classe, legge il giornale. Il professor R.
ha altri interessi. Insegnando in un Istituto serale, di giorno
esercita una seconda professione «non autorizzata». Le assenze sono
comunque numerose, e non c'è mai preavviso. Visto l'orario delle
lezioni, «risulta estremamente difficile reperire supplenti». E
comunque, il professor R. non lo consentirebbe mai. «Nel mese di
novembre e dicembre del presente anno scolastico, la scuola ha dovuto
fare fronte ad un periodo di assenza per malattia del professor R. che
si è protratto per un totale di 42 giorni, senza essere stata messa
dall'interessato nelle condizioni di poter nominare un docente
supplente, a causa del fatto che il prof R. non ha presentato un'unica
richiesta di giustificazione dell'assenza, ma al contrario l'ha
segmentata in quattro diversi periodi, ogni volta facendo pervenire
alla scadenza di ognuno un nuovo certificato medico. Un'incuria che ha
fatto sì che per i suoi studenti vi sia stato di fatto un mese di
interruzione dell'anno scolastico». Lo sbarramento difensivo del
professor R. consiste in una serie di denunce a carico di preside e
vicepreside, al ritmo di due a settimana. Al colloquio, il professor
R. sostiene che i suoi alunni «sono bestie che meritano il mio
disprezzo». L'ispettore la pensa diversamente: «Studenti lavoratori
che dedicano, anche con fatica, parti non irrilevanti del proprio
tempo alla frequenza di un corso di studi, le cui aspettative di
apprendimento in discipline di primaria importanza sono state
regolarmente frustrate e le conseguenze sono risultate evidenti in
sede di Esami conclusivi». Quando c'è, il professor R. si fa notare.
All'uscita da scuola ha aggredito il suo vicepreside, ed è quasi
venuto alle mani con alcuni dei suoi studenti inferociti. Conclude
l'ispettore: «In un contesto individuale segnato da negligenza,
menefreghismo ed arroganza, il professor R. nulla ha dell'educatore».
In prima istanza, viene chiesto il trasferimento a un corso diurno e
non serale. Dopo corsi e ricorsi, viene invece deciso il
«monitoraggio» del professor R. per la durata di un anno.