La strada per «imparare» davvero.

Esami di riparazione sì,
ma prima un «vero» recupero.

di Gabriella Sartori, Avvenire del 6/8/2007

 

Reintroduzione degli esami di riparazione a settembre? Un coro non sempre concorde ha accolto la proposta del ministro dell'Educazione Fioroni il quale, constatando finalmente i disastri causati dalla pratica "ultra-perdonista" invalsa nella nostra scuola che promuove anche chi non "paga" mai i "debiti" accumulati lungo gli anni, (44% quelli relativi allo studio della Matematica) ha detto: "No, così non va ,bisogna fare qualcosa".

Si può ben dire: "Era ora", ma anche: "Meglio tardi che mai". Cercare il perché si sia dovuto aspettare tanto a lungo (e con così gravi conseguenze, se non altro perché la pessima abitudine ha avuto tutto il tempo di diventare mentalità diffusa) sarebbe troppo lungo e doloroso. Basti constatare che adesso che il latte è versato, tutti gridano all'irreparabile "danno", ivi compresi coloro, (e furono una folla) che, a suo tempo, lanciavano sdegnate accuse a chi osava osservare, col buon senso che oggi quasi tutti hanno improvvisamente recuperato, che non è decente dare la promozione a chi non impara (e spesso non vuol imparare ) niente di niente, neanche il minimo necessario.

"Imparare", e il verbo va sottolineato: perché non basta star sul banco, non basta nemmeno andare a scuola più o meno regolarmente. Quello che la scuola ha il compito di accertare (dopo aver dato all'allievo rispetto, attenzione, spiegazioni chiare e magari ripetute, il più possibile "individualizzate", dopo aver suscitato il suo interesse, ecc.) è che l'allievo dia prova di aver capito e di aver studiato fino al punto di aver "imparato". Per farlo occorre che faccia fatica, si eserciti, (perfino si annoi, perché gli esercizi a volte sono noiosi), specie in matematica, lingua straniera, latino, greco, chimica, fisica, e in tutte quelle materie in cui non si può "raccontarla" (a professori che di questo si accontentano): o sai o non sai. Occorre che qualcuno ne controlli il lavoro, occorre soprattutto che qualcuno insegni a distinguere bene la differenza che passa fra "aver capito" e no, fra aver "studiato" e aver "imparato".

Sembrano ovvietà, ma purtroppo non lo sono più. Ed è qui che il discorso merita di essere approfondito. Perchè, d'accordo, gli esami di riparazione possono costituire un rimedio necessario, ma il punto fondamentale è vedere come verranno pensati, organizzati, realizzati. Chi e come li preparerà. Sarebbe profondamente illusorio pensare che basti imporre alle scuole l'obbligo di corsi di recupero come molti di quelli che si son visti fin qui: con lezioni fatte in qualche modo da svogliati docenti di fronte a svogliatissimi allievi. Non basterà nemmeno "pagare" questi insegnanti: certo che dovrà esser loro corrisposto il dovuto, ma che non passi a nessuno per la mente l'idea che basti "pagare" perché la qualità dell'insegnamento cresca. Non è mai successo, né per i docenti né per qualsiasi altra categoria di lavoratori. E gli esempi si sprecano.
È invece fondamentale comprendere fin dall'inizio che far capire e far studiare chi ha difficoltà a farlo è un impegno difficilissimo, che richiede doti, esperienza, professionalità particolari, mediamente superiori a quelle di chi riesce a farlo, più o meno bene, con allievi bravi, attenti, intelligenti, volonterosi. Quindi, come minimo, a tenere i corso di reale recupero per gli esami di settembre, dovrebbero esser chiamati docenti seriamente specializzati in questo genere di lavoro. Che vanno adeguatamente ricompensati.

Ed è questo il "prerequisito" fondamentale (perché è nella qualità dell'insegnante che poggia principalmente la qualità della scuola) cui, fra i moltissimi altri che si potrebbero elencare, ne va aggiunto almeno un secondo: che lo studio e l'impegno che richiede vengano appoggiati e sostenuti anche dalle famiglie e dalla società nel suo insieme. Senza queste due condizioni minime, nessun esame di riparazione potrà mai porre rimedio a niente, nessun corso di"recupero" potrà mai aver successo. Ma questo, almeno a parole, qualcuno che lo sostiene adesso comincia ad esserci. Meglio tardi che mai.