Tornare agli esami di riparazione?
Paolo Mazzocchini da
DocentINclasse, 5/8/2007
Non erano necessari tredici anni di
sperimentazione del sistema dei debiti scolastici per comprendere che
il meccanismo era oggettivamente fallimentare e, nelle intenzioni del
ministero, spudoratamente lassista.
Chi scrive ebbe la chance di vedere pubblicata sulla stampa nel Marzo
1996 (nella nota rubrica di Scalfari del Venerdì di Repubblica) una
propria lettera di denuncia del decreto D’Onofrio che aboliva gli
esami di settembre e della conseguente attivazione dell’elefantiaco e
inefficiente baraccone dei corsi di recupero. L’allora ministro
Lombardi ebbe la compiacenza (e la faccia tosta) di rispondermi sulla
stessa rubrica scalfariana che quelle misure erano necessarie per
costruire una scuola nuova e moderna, scuola – secondo lui – ‘della
promozione’ e non più ‘del giudizio’.
A una dozzina d’anni di distanza Fioroni si è accorto che se
‘promozione’ c’è stata, si è trattato soltanto di quella facile e
puramente burocratica (non certo culturale e formativa) di molti asini
e, cosa peggiore, di ancor più numerosi nullafacenti.
Così egli non riesce a pensare di meglio che a ripristinare i vecchi
esami di settembre.
Ora gli esami di settembre erano certamente un male minore rispetto al
sistema dei debiti. Minore, perché, con tutti i loro limiti, ponevano
l’alunno di fronte ad una responsabilità, venendo meno alla quale egli
rischiava concretamente di pagare un prezzo. La gravità
dell’abolizione di quegli esami consistette non tanto nella scomparsa
formale degli stessi, bensì piuttosto nella soppressione
pedagogicamente rovinosa del principio di responsabilità dell’alunno
di fronte allo studio e dell’insegnante di fronte al dovere di una
valutazione seria. Ciò a prescindere dall’obiezione, non infondata (e
che anche in questi giorni viene sollevata da chi è contrario al
ripristino egli esami), che tre mesi estivi sono oggettivamente
insufficienti a sanare le lacune di un anno e che il ricorso a
massicce lezioni private estive è possibile soprattutto alle famiglie
più abbienti.
Inoltre l’abolizione di quegli esami fu esiziale anche perché veicolò
un ribaltamento di quel concetto stesso di responsabilità nel rapporto
scuola-studente. L’attivazione forzosa dei corsi di recupero ebbe
anch’essa, infatti, un significato che trascendeva l’efficacia
(notoriamente modesta) degli stessi per affermare il principio che il
ritardo scolastico è precipua responsabilità della scuola (e dei
docenti), anziché dello studente: un principio non solo teoricamente
discutibile, ma praticamente pericoloso e fuorviante perché tende
inevitabilmente a penalizzare e colpevolizzare i docenti che valutano
in modo serio e rigoroso (cioè, in genere, i docenti migliori) e a
indurre irresistibilmente in tutti loro la tentazione del sei
politico.
Come si vede, l’abolizione degli esami di settembre ha avuto un
significato e delle conseguenze ben più ampi e deleteri di quanto
D’Onofrio e i suoi successori finsero di attribuirgli (la lotta contro
le lobbies dei ripetitori!!).
Detto questo, va tuttavia riconosciuto che il rispristino tout court
di quegli esami forse non basterebbe a risanare la patologia ormai
cronica sviluppatasi da quella abolizione.
Non sono infatti tanto gli esami di settembre in sé che devono essere
restaurati, bensì il principio di responsabilità dal quale solo può
discendere tutta una serie di comportamenti virtuosi da parte degli
allievi e dei docenti.
Certo una forma di valutazione seria del debito alla fine dell’estate
andrebbe reintrodotta, ma bisognerebbe giocoforza accompagnarla ad una
revisione ampia e profonda del sistema del cosiddetto recupero e nel
contempo svincolarla il più possibile da esso. Mi spiego.
Oggi il recupero è spesso una risibile formalità: una manciata di ore
nelle solite materie (matematica, latino, greco, inglese) affidate
all’insegnante di classe e svolte allo scopo di tacitare e prevenire i
genitori rompiscatole di fronte all’eventualità (per altro finora
oggettivamente quasi innocua) del debito, più che per recuperare
effettivamente le lacune degli allievi.
Il motivo di questo impegno minimale della scuola nel recupero è
visibile a tutti: le ore di recupero costano e pesano sui magri
bilanci degli istituti, e per di più non sono graditissime ai docenti
che talora le avvertono più come una punizione per il loro rigore
valutativo che un’autentica incentivazione economica (si sa che non
vengono pagate certo a peso d’oro).
Ora, ammesso che la scuola di oggi debba farsi carico, oltre che di
una valutazione rigorosa, anche di un lavoro supplementare serio a
favore degli alunni in difficoltà, questo lavoro dovrebbe essere
allora articolarsi, secondo me, più o meno come segue:
1) istituzione di corsi di doposcuola continuativi (almeno due ore
settimanali per ogni materia interessata) da novembre a maggio
2) istituzione di corsi di recupero intensivi estivi nelle stesse
materie in giugno-luglio
3) non obbligatorietà di frequenza da parte degli allievi interessati,
i quali potrebbero anche (volendo) ricorrere in alternativa a lezioni
private
4) non obbligatorietà di svolgimento da parte degli insegnanti della
classe che potrebbero essere sostituiti da altri più giovani colleghi
nominati già da novembre, purché in possesso di abilitazione
5) rigorosa valutazione degli alunni con debito a metà settembre da
parte degli insegnanti della classe
Il punto 4) mi pare fondamentale per svincolare l’insegnante che deve
valutare dal ricatto di un sopralavoro spesso ingrato (oltre che
abbastanza sottopagato e capace di sottrarre energie e attenzioni
all’impegno curricolare vero e proprio) e per permettere a giovani
abilitati di maturare un’esperienza valida di insegnamento dentro la
scuola prima di arrivare in cattedra.
Forse, a queste condizioni, il sistema funzionerebbe in alternativa a
quello, socialmente discriminante, delle lezioni private: ma con quali
spese per lo stato? Evidentemente intollerabili per dei governi
(compreso l’attuale) che promuovono la scuola solo a parole.
Il fatto è che a pensar male, purtroppo, ci si indovina sempre. È
lecito quindi sospettare che Fioroni, quando parla, in nome del rigore
valutativo, del ripristino dell’esame di riparazione, pensi invece in
cuor suo essenzialmente ad una semplice restaurazione per questioni di
bilancio: diminuire o azzerare il costo di interventi di recupero a
carico dello stato e scaricare il più possibile quel costo sulle
famiglie attraverso le lezioni private.
Insomma: fingere serietà e rigore per salvaguardare il portafoglio.
Solite nozze coi fichi secchi.