La novità, introdotta quest'anno dal ministero
dell'istruzione,
riduce la possibilità di un incarico.
Si scatena la protesta dei supplenti:
Tutti contro il divieto
di ricoprire gli spezzoni fino a 6 ore.
da ItaliaOggi del
28/8/2007
Monta la protesta dei docenti precari per il
divieto di assegnare a supplenza gli spezzoni fino a sei ore. La
novità è stata introdotta quest'anno dal ministero della pubblica
istruzione con alcune interpretazioni del nuovo regolamento delle
supplenze. E rischia di ridurre notevolmente le probabilità di
ottenere un incarico.
Specie per i docenti più giovani e per coloro
che appartengono a classi di concorso con molti esuberi. Per esempio:
A017, economia aziendale e A032/A031 educazione musicale nelle scuole
medie e superiori.
No agli spezzoni
Le nuove norme, infatti, prevedono che i piccoli spezzoni non possano
più essere assegnati ai supplenti dagli uffici scolastici e dalle
scuole polo, nella fase provinciale dell'attribuzione degli incarichi.
Si superano le sei ore
E in più c'è l'incognita delle cosiddette aggregazioni. Vale a dire,
dei processi di assemblaggio degli spezzoni di cattedra, che portano
alla costituzione di cattedre su più sedi (cattedre orario) e di
spezzoni composti (due o più spezzoni di poche ore uniti in modo tale
da costituire uno spezzone più grande, anche tra più scuole).
Aggregando i piccoli spezzoni, infatti, è possibile raggiungere le
sette ore: il limite minimo che consente l'assegnazione degli
incarichi ai supplenti da parte degli uffici e dei dirigenti delle
scuole polo. In caso contrario, gli spezzoni da sei ore in giù vanno
ai docenti interni come ore di straordinario (cosiddette ore
eccedenti). Ma i criteri per effettuare le aggregazioni sono piuttosto
labili. E ciò aumenta il clima di incertezza, talvolta di sospetto,
che si determina in questi casi.
Aggregazioni
Su questa questione, peraltro, l'amministrazione centrale è
intervenuta il 7 agosto scorso (si veda ItaliaOggi del 21 agosto)
ricordando alle amministrazioni periferiche che i piccoli spezzoni
devono, comunque, essere aggregati tra loro. Sempre però avendo cura
di rispettare il criterio della facile raggiungibilità. E fino a un
massimo di tre scuole e due comuni. Nessun problema per il limite
delle tre scuole in due comuni. I problemi nascono, invece, quando
bisogna applicare il criterio di facile raggiungibilità.
L'incognita
Il ministero, infatti, non ha mai chiarito che cosa debba intendersi
per comuni facilmente raggiungibili. E ciò ha determinato l'insorgenza
di interpretazioni non univoche da parte di uffici e dirigenti
scolastici. C'è stato chi ha fatto riferimento a una vecchia ordinanza
che regola le cattedre orario delle superiori (le cattedre costituite
su più sedi) nella quale c'è scritto che le sedi dove sono ubicate le
frazioni che costituiscono la cattedra devono essere situate entro un
raggio di 30 chilometri (ordinanza 332/96, articolo 7, comma 2,
lettera d). E ci sono stati altri che hanno applicato questo criterio
in modo meno rigido. Tanto più che l'ordinanza delle cattedre orario
delle scuole medie (191/97) non prevede affatto tale limite.
Insomma, anche su questa questione si naviga a
vista. E quando non vi sono direttive chiare, non di rado i
chiarimenti interpretativi vengono scritti dai giudici. Chiarimenti
che, peraltro, valgono solo per le parti in causa. Insomma, un tira e
molla che dura da anni e che si arricchisce continuamente di nuovi
sviluppi.
Giurisprudenza
Resta il fatto che l'amministrazione continua a tacere sul criterio di
facile raggiungibilità. E l'unico riferimento interpretativo di una
certa autorevolezza è contenuto in un'ordinanza del giudice del lavoro
di Potenza (rg 2211/2004). Secondo il giudice monocratico, perché
possa essere soddisfatto il criterio di facile raggiungibilità è
necessario che «fra i due comuni vi sia un collegamento rapido e
agevole secondo la viabilità ordinaria e tale da non ostacolare
l'esercizio dell'attività didattica... nelle due diverse sedi».
Insomma, se c'è una buona strada e si dispone di un'autovettura, anche
se si va oltre i 30 chilometri non è un problema. È bene precisare,
però, che il caso a cui faceva riferimento il giudice riguardava sedi
ubicate in due comuni distanti tra loro poco più di 60 chilometri.
Resta il fatto che, sempre secondo il giudice, il limite dei 30
chilometri non esiste.