Follia a scuola.
mala tempora currunt sed peiora appropinquant.
Anna Di Gennaro da
DocentINclasse, 2 agosto 2007
Ho letto con estremo interesse, sul Corriere
della Sera di domenica scorsa, la preziosa intervista al
neuropsichiatria Giovanni Bollea, il luminare che ha egregiamente
presentato – assieme all’ex ministro Tullio De Mauro - il dossier
SCUOLA DI FOLLIA (ed. Armando), sintetizzando in modo mirabile gli
esiti della decennale ricerca dello specialista ricercatore.
Ecco infatti l’incipit dell’illustre prefazione: “Il libro appartiene
a quelle opere fondamentali che segnano una svolta teorica e pratica
in un settore…Come e in che senso la Scuola, o meglio questa nostra
Scuola, non conosce e valorizza l’enorme dispendio di forze psichiche
da parte del corpo degli insegnanti. Stupendo il pensiero dell’autore
Vittorio Lodolo D’Oria quando dice che solo la sinergia del mondo
scolastico e dell’universo medico psicologico può arginare il fenomeno
del logoramento psicofisico degli insegnati e le relative
conseguenze.”
Della toccante intervista pubblicata il 29 luglio, in particolare mi
hanno colpita alcune sue condivisibili affermazioni, che smontano
letteralmente la presunzione di dar la caccia alle streghe, intento
davvero perverso, solamente paragonabile al più terribile degli
accanimenti terapeutici…
“Preferisco pensare che un colpevole non venga condannato, che se ne
vada libero, piuttosto che vedere dei bambini sottoposti a una simile
violenza.”
“Io tremo di rabbia: quello che stanno facendo è una nuova, grave
violenza nei confronti dei bambini”.
“Temo che la loro vita sessuale possa essere contaminata, alterata a
causa di quello che gli sta capitando”.
“Sì. Perché i veri condannati in questo processo non saranno gli
eventuali colpevoli. Quelli che stiamo condannando fin da adesso sono
ancora una volta i bambini. Saranno loro a patire le conseguenze più
gravi”.
“Chi difende il bimbo: i suoi genitori. Le madri e i padri non
avrebbero dovuto permettere di fare interrogare i loro figli così
piccoli. Che cosa proveranno fra qualche anno, quando saranno
cresciuti, ricordando cosa gli hanno fatto fare? Perché non li
lasciamo finalmente in pace?”.
Anch’io umilmente mi permetto di perorare la buona causa, chiedendo ai
genitori ed agli insegnanti coinvolti (ma anche ai cosiddetti
“specialisti”!) di porre fine a quest’ennesima amara vicenda.
Anna Di Gennaro
adige@fastwebnet.it 31/VII/2007