Esami di Stato.
Pasquale Almirante
da
DocentINclasse, del 20 agosto 2007
Dato ormai per scontato che la scuola provvede
poco perfino a soffiare nell'animo dei ragazzi il piacere della
lettura, visto che ben il 67% della popolazione meridionale ha
dichiarato di non aver mai letto un libro, riprendiamo il filo della
delicata questione degli esami di stato da poco conclusi.
La lamentela principe riguarda il giudizio finale che non
rispecchierebbe spesso la preparazione effettiva del candidato
nonostante il voto di ammissione e i crediti, per colpa evidente di
professori poco rigorosi e scadenti giudici. Ma oltre a queste
ingiustizie si sono pure notate differenze di valutazione fra una
commissione e l'altra e fra una scuola e l'altra, dimostrando con
ciò che non esistono standard uniformi di giudizio né all'interno di
una stessa commissione né fra commissioni diverse a livello
nazionale, mentre taluni docenti permissivi coi propri alunni
diventano pignoli e attaccabrighe con gli altri. Cosicché capita
volentieri che ragazzi con un buon curriculum scolastico crollino e
certi asinacci volino oltre l'insperato.
Di ricette per evitare tante sperequazioni se ne sono scritte molte
a cominciare dall'abolizione dell'esame stesso e continuando con
l'immediata proclamazione del voto a conclusione di ogni prova o
alla composizione della commissione tutta esterna, ma si tralascia
di studiare il vero nodo del problema che è la certificazione delle
competenze. Fino a quando infatti si tratterà di giudicare un alunno
con un voto unico e onnicomprensivo dell'intero percorso scolastico
non ci sarà mai equità di giudizio qualunque strategia venga posta
in essere. Per raggiungere una il più possibile equa scala di
valutazione occorrerebbe invece che il Ministero fissasse per ogni
materia livelli di competenza uniformi, così come avviene con le
lingue straniere i cui parametri valutativi sono stati elaborati dal
Consiglio europeo e ribaditi dalle linee guida per l'insegnamento,
cosicché un corso di lingue svolto a Londra o a Berlino ha lo stesso
valore di certificazione in qualsiasi parte d'Europa.
Fatto questo accorrerebbe affidare l'esame di stato a una
commissione tutta esterna che, a conclusione delle prove rese
oggettive dal Ministero, rilasciasse un documento con tanti voti
quante sono le materie sottoposte a esame (non necessariamente
tutte) in modo che l'alunno possa poi spendere il proprio titolo a
seconda dei suoi bisogni e dei suoi progetti. Con un tale
certificato si eviterebbe pure lo strazio delle bocciature, a meno
che il candidato abbia tante insufficienze da consigliargli di
ripetere l'anno, e l'ormai inconcludente valore legale del diploma.
Qualche studioso di scuola tuttavia, consapevole che il voto unico
difficilmente verrà soppresso e che l'esame di stato si svolgerà
sempre così come lo conosciamo, propone che gli scritti siano
consegnati in busta chiusa, come avviene nei concorsi, e corretti da
docenti esterni esperti in docimologia (l'arte che studia i metodi e
i criteri di valutazione del profitto scolastico e delle prove
d'esame) e che la terza prova sia quantomeno elaborata non già da
ogni commissione ma a livello provinciale o comunque distrettuale
anche per capire se i programmi sviluppati nel corso dell'anno dai
singoli docenti abbiano uniformità di contenuti.
Interessante è la proposta di assegnare almeno 40/100 alla carriera
scolastica, 45 alle prove scritte e solo 15 all'orale dove si
verificano le più contestate disparità. Resta tuttavia sempre ferma
la delicatezza che il mestiere di insegnante porta con sé, non solo
per l'educazione e la formazione dei giovani, ma anche per la loro
valutazione. Giudicare è sempre difficile e farlo ogni giorno
talvolta è pure gravoso.