Cose dell'altro mondo.
Dopo il volo purtroppo inutile dell'ambulanza,
il nostro sillografo
si trova all'Altro Mondo: se ci riuscirà, cercherà di scrivere
qualcosa anche da lì.
Per il momento, sono riuscito a raccattare fortunosamente il suo
ultimo messaggio.
Renato Lo Schiavo da
DocentINclasse,
di venerdì 17 agosto 2007
Trovarsi all'Altro Mondo, alla fin fine, ha pure
dei lati positivi. Tanto per cominciare, non si soffre più di
depressione né di mal di testa, cosa che impedisce di marcare visita
e quindi di passare per fannulloni. In secondo luogo, la separazione
materiale da cose e persone che ci hanno tormentato l'esistenza
consente di vedere meglio quello che prima ci era troppo vicino per
un'osservazione distaccata. C'è naturalmente dell'altro, ma il tempo
per parlarne qui non mi manca certo.
Per chi è ancora una matricola, come me, sussistono però delle
limitazioni: non ho infatti diritto alla buonanima's card, tra i cui
benefits figurano l'onniscienza, la preveggenza e l'onnipresenza. Mi
hanno detto che c'è da faticare per ottenerla, ma che in compenso...
Devo quindi accontentarmi di quel che passa il Convento, ma bastano
già le conversazioni con la bella gente che bazzica da queste parti,
per provare un celestiale senso di sollievo. L'altro giorno, per
esempio (era l'altro giorno o l'eone precedente? Da queste parti è
facile perdere il senso del tempo), chiacchierando con colleghi
americani (qui ognuno mantiene la qualifica lavorativa dell'altra
vita) mi sono reso conto del distacco che ci separa da loro. Noi non
abbiamo ancora interiorizzato il senso di quotidianità dell'andare
in giro armati, cosicché non siamo riusciti a fare neppure una di
quelle belle stragi che fanno un grand'effetto nei notiziari
televisivi. Ho sentito qualcuno dei nostri bofonchiare, ogni tanto,
della necessità di fare un bel repulisti, ma di solito l'arma usata
è il registro, peraltro con risultati - il più delle volte - assai
miseri. Non funziona. Tra l'altro, anche quelli che più fanno i
truci, giunto il momento dell'azione, vengono colti da tracimazione
di scrupoli e combinano ben poco.
I colleghi francesi sono invece tormentati, anche qui, dal timore di
non essere sufficientemente laici, tanto che ogni cinque minuti
(beh, anche per i minuti vale il dubbio di cui sopra a proposito dei
giorni) fanno una bella ispezione per le classi alla ricerca di
segni distintivi di culto. Siccome ne trovano a bizzeffe, quei
poveracci sono continuamente impegnati a mandare i pizzicati dal
Principale, il quale santifica della Madonna per convincere ciascuno
che a Lui va bene qualunque segno e che ha ben altri grattacapi da
risolvere. A quanto pare, ogni pizzicato è convinto di avere il
segno giusto e trova assolutamente insoddisfacente la risposta del
Capo, cosicché torna in classe più testardo di prima, rendendo
isterico il professore che lo aveva mandato in Dirigenza, il quale
si sente inoltre preso per i fondelli anche dal Vertice. Ho provato
a dir loro che da noi si viene mandati a quel paese per molto meno,
ma loro non ci credono. Poveracci, si sentono presi talmente di
mira, i professori francesi, che hanno dovuto distribuirgli un
"Manuale di sopravvivenza": filosoficamente è un gran passo avanti
rispetto a noi, che non abbiamo il conforto di una presa di
coscienza ministeriale e dobbiamo quindi arrangiarci da soli.
Gli Inglesi sono affetti da rovesciamento di prospettiva: ritengono
un grande successo che lo 0,01% dei loro studenti riesca a leggere
con scioltezza l'elenco telefonico, operazione assai complessa
perché richiede la combinazione delle abilità letterarie con quelle
matematiche, nonché un ottimo coordinamento tattile, come provato -
e converso - dal fatto che la stragrande maggioranza degli studenti
si risolva, per sfogliare il ponderoso volume, a farne scuotere le
pagine dalla cervice dei compagni di classe, premurosamente
sollecitati a prestarsi alla bisogna. Forti di questi splendidi
risultati, i teachers sono alquanto restii a cambiare sistema,
perché temono che un abbassamento allo 0,009% possa scatenare un
putiferio di critiche da parte dell'opinione pubblica.
I docenti tedeschi sono tranquilli, in quanto la struttura federale
del loro stato e, conseguentemente, del loro sistema scolastico, gli
consente di rispondere, qualunque sia la domanda, che loro
appartengono ad un altro Land. In effetti non sono ancora riuscito,
fino ad oggi, a strappargli una risposta precisa ai miei numerosi
quesiti; debbo quindi supporre che essi si sentano infastiditi e
reagiscano non rispondendomi. "Come i miei alunni", mi sono trovato
inconsciamente a pensare, cogliendo così finalmente la spiegazione
etnica di quei silenzi che tanto mi sconcertavano.
I professori egiziani sono invece perennemente impegnati con le
lezioni private: pare che i loro alunni, durante le ore curriculari,
siano dei terribili zucconi e che quindi senza un'intensa e
premurosa assistenza extrascolastica non riescano ad imparare
alcunché. Succede così che il portafoglio di quei docenti,
sconsolatamente magro finché vi si limita ad albergare lo stipendio
ufficiale, si scopra affetto da pericolosa obesità a causa
dell'ingrasso privato: non ho però capito perché i colleghi nilotici
si rivelino così attaccati a tale fattore di rischio.
I colleghi dei Paesi in Via di Sviluppo e di quelli che Hanno
Smarrito la Via sono perennemente in cerca di aule, di banchi, di
materiale di cancelleria; le loro scuole sono continuamente soggette
a devastazioni e sopravvivono solo grazie all'abnegazione di docenti
missionari. Non ho ancora avuto modo di scorrerne l'annuario con la
lista completa e pertanto non so dirvi se l'Italia (Meridionale?)
abbia finalmente visto premiati i suoi sforzi, venendone pertanto
esclusa perché assolutamente irrecuperabile.
Gli Argentini hanno sviluppato, da qualche anno, una strana passione
per la musica fai-da-te: sono diventati tutti percussionisti ed
amano riunirsi in bande (musicali, ovviamente) per esibirsi sotto le
finestre dei palazzi del Governo suonando la batteria da cucina.
Pare tuttavia che i politici di costì non gli prestino molto
orecchio e neppure qualche spicciolo. Tutto il mondo è paese, si usa
dire anche da queste parti.
Gli insegnanti Italiani - che impressione, vederli da qui - hanno
eletto san Luigi (Pirandello) a loro patrono e quotidianamente lo
onorano interpretandone lo spirito in copioni di loro creazione. Il
tema della follia, in conseguente omaggio al suddetto Referente, è
infatti al centro di queste pieces. I titoli ("La taglialingua",
"Forse pedofili, forse no", "Porgi l'altra guancia che te la
schiaffeggio, grazie", "I tosti tastano") non sono ancora granché,
ma in compenso la massima diffusione è assicurata grazie al
collegamento in Cosmofonino. Anche il noto mitteleuropeista Claudio
Magris conferma quanto da quassù è prospetticamente evidente,
ricordando che "in una scuola sana si impara a riconoscere il gioco
delle parti" e venendo perciò cordialmente mandato affambagno da un
docente webnauta che individua le parti di tale gioco in quelle
basse, che, a quanto si intuisce anche a tastoni, a lui
personalmente sono state irrimediabilmente rotte.
Il problema fondamentale dei professori stivaluti è che nessuno li
prende sul serio. Se si porgono come professori, succede che gli
studenti, le famiglie, i ministri ed i dirigenti scolastici non gli
credono: gente che non gode di alcuna considerazione sociale ed ha
uno stipendio che per i sindacati è fin troppo elevato per ciò che
(non) fanno, può mai destare altro - nella migliore delle ipotesi -
che compassione? Se si porgono come lavoratori, con le loro 18 ore
settimanali ed i tre mesi annui di vacanza non rientrano nei
parametri. E se, dati alla mano, protestano che la realtà è ben
diversa, la loro voce, affetta da incompatibilità con i mass media,
improvvisamente svanisce. Neppure se chiedono disperatamente aiuto
in quanto quasi folli, gli si crede: come ha detto uno specialista
del burnout dei docenti italiani, il dottor Vittorio Lodolo D'Oria,
"l'opinione pubblica ritiene che un lavoro semplice e poco
impegnativo come quello dell'insegnante al massimo può generare
piccoli con trattempi e qualche insignificante grattacapo". E a non
credergli, come acutamente nota il medesimo Lodolo in virtù di una
semplice considerazione statistica, sono per primi gli stessi
colleghi, i quali si guardano bene, inoltre, dal parlare del proprio
disagio, che cercano di risolvere praticando copiosamente le
attività 'nobili' della società moderna, perfettamente individuate
dal suddetto Lodolo: "il bere, il fumare, il pasticcarsi" (cui
bisogna aggiungere, non essendo stati citati sicuramente per via di
per una banale svista, il coglioneggiare, il praticare il gioco
delle trasmutandis mudandinis e quello ancora più divertente del
fotticompagno, che grazie al passaggio transitivo da un posteriore
all'altro consente finalmente con sommo gaudio di arrivare da tergo
al proprio, seguendo l'antica rotta di Cristoforo Colombo). Lo
stesso dottor Lodolo assicura che i 'drammatici risultati' dei suoi
studi non sono bastati a 'suscitare il dovuto allarme' e gli hanno
fruttato unicamente 'attestati di stima dalle autorità competenti e
dai sindacati: nulla più', dimostrando con queste frasi di non avere
affatto capito che Autorità Competenti e Sindacati lo hanno
evidentissimamente ritenuto affetto dalla medesima sindrome da lui
individuata negli altri. Lo stesso dottor Lodolo pare fornire
robusto supporto a tale diagnosi, quando prima invita gli insegnanti
"a fare ricorso a buone dosi di autoironia durante il lavoro
scolastico", poi auspica "un coinvolgimento dei mass media per
cercare quantomeno di ridurre i dannosi stereotipi sulla professione
insegnante e restituire dignità alla funzione sociale dell'intera
categoria", quindi si rammarica "di un Decreto Ministeriale del 1998
che affida la formazione degli insegnanti a Scientology" ed infine
prende una topica colossale perché secondo lui "Pretendere di
risolvere il disagio mentale con delle sanzioni è roba da
mentecatti. Gridare al licenziamento di una singola persona come
panacea di tutti i mali della scuola mi sembra atto irresponsabile:
soprattutto se fatto da un ministro che è per giunta medico", non
accorgendosi così che il Ministro della Pubblica Istruzione, proprio
perché Medico, intende applicare una terapia omeopatica.
Godendo di buon osservatorio, ho anche intravisto un tale che ha
individuato l'elemento più grave dell'abolizione degli esami di
riparazione "nella soppressione pedagogicamente rovinosa del
principio di responsabilità dell'alunno di fronte allo studio e
dell'insegnante di fronte al dovere di una valutazione seria" e
pertanto sostiene che "Non sono infatti tanto gli esami di settembre
in sé che devono essere restaurati, bensì il principio di
responsabilità". Deve probabilmente trattarsi di un epigono del
filosofo tedesco Hans Jonas, il quale qualche decennio fa ha
pubblicato il volume "Il principio responsabilità", opera piuttosto
impegnativa e dallo stile desueto, per ammissione e volontà dello
stesso autore, ma capace di cogliere, senza che neppure lui lo
prevedesse, alcuni elementi divenuti poi tipici della scuola
(italiana?). Prendiamo ad esempio uno dei retaggi della cultura
sessantottina, tipica della maggior parte degli attuali docenti
italiani, lo spontaneismo: "la spontaneità costituisce uno dei
tratti più allettanti del passatempo autentico (...). A ciò si
aggiunge che il passatempo non è mai preso completamente sul serio,
che nulla dipende da esso e che praticandolo non si è debitori di
niente a nessuno. Affinché possa manifestarsi l'elemento ludico gli
si deve contrapporre altrove qualcosa di completamente serio: (...)
Ad eccezione del caso di fatto privilegiato costituito dal lavoro
creativo in cui o sussiste davvero la spontaneità o non si fa nulla
(...) persino l'attività fissa, che in origine è stata scelta
liberamente, perderebbe nello svolgerla quella spontaneità che è
tenuta viva proprio dall' occasionalità del passatempo, del piacere
per ciò che è 'diverso', per il suo carattere 'superfluo', per la
sua stravaganza e privatezza. (...) Lo spettro dell'irrealtà calerà
su tutto quell'affaccendarsi-come-se, suscitando un inimmaginabile
taedium vitae, la cui prima vittima sarà proprio il piacere di
praticare il passatempo scelto".
Non si capisce bene (l'autore voleva proprio questo, per difendersi
dalla banalizzazione del suo pensiero), ma il senso di quanto sopra
è che la spontaneità si dà solo in rapporto dialettico con la
serietà e che lo spettro del burnout è incombente su tutti, a
cominciare dagli alunni, come i professori troppo spesso
dimenticano.
Se fosse presente il collega di Filosofia (per il cui prestigio
diffuso ormai non provo più invidia, essendo qui all'Altro Mondo),
mi ammonirebbe che certe situazioni si possono affrontare ponendosi
nell'ottica del moderno contrattualismo, teoria (o meglio, gruppo di
teorie) secondo la quale una morale è fondata su una scelta
'razionale' da parte di 'individui razionali' in una astratta
'situazione iniziale di contrattazione'.
E' un tipo di concezione che oggi va' per la maggiore e che viene
offerta in tutti i campi della modernizzazione: ci si dice che oggi
bisogna passare da una situazione in cui le azioni conseguono ad uno
'status' (ad es., io insegnante mi avvalgo di uno status che mi
consente di imporre a te studente di studiare) ad una basata sul
'contratto' (io e te ci accordiamo su posizione paritaria e firmiamo
un contratto nel quale è scritto che cosa debbo farti imparare e
come).
L'esempio, chissà come mai venutomi spontaneo, ricorda perfettamente
la bella iniziativa del Ministero della Pubblica Istruzione di
qualche tempo fa, il quale ha disposto che d'allora in poi anche
nelle nostre scuole si sarebbe fatto così: una maniera molto
'moderna' di scaricare la colpa di tutte le inefficienze e
negligenze sul povero insegnante notoriamente scansafatiche ed
incompetente.
L'italico docente che invoca la restaurazione del principio di
responsabilità sospetta anche che quando il Ministro parla, in nome
del rigore valutativo, del ripristino dell'esame di riparazione,
pensi invece in cuor suo essenzialmente ad una semplice
restaurazione per questioni di bilancio: diminuire o azzerare il
costo di interventi di recupero a carico dello stato e scaricare il
più possibile quel costo sulle famiglie attraverso le lezioni
private. Sebbene egli sia convinto che a pensar male, purtroppo, si
indovini, visto che quassù per statuto non mi è lecito pensar male e
considerato che non ho ancora ottenuto l'abilitazione ad indovinare,
posso solo considerare che quantunque il contrattualismo (fin dai
tempi di Rousseau) venga considerato un'etica molto democratica, per
me esso si basa su una serie di astrazioni assolutamente
inaccettabili: 'scelta razionale', 'individui razionali',
'situazione contrattuale originaria' sono tutte maniere di negare il
concreto influsso delle vicende storiche umane sulla realtà attuale.
Pertanto, sia che si esamini la variante del contrattualismo
ipotetico che quello reale, resta valida l'obiezione che, come è
costretto ad ammettere pure uno dei suoi estimatori, G. Pontara,
"esso favorisce in modo sistematico e gratuito i gruppi più forti
della società rispetto a quelli che sono i più deboli".
Resterebbe da capire se gli insegnanti rientrino tra i forti o tra i
deboli, visto che a seconda delle circostanze essi, nel rapporto con
gli alunni e con le loro famiglie, possono occupare talora l'una
talora l'altra posizione. Da quello che ho potuto capire guardandoli
da qui, i professori rientrano perfettamente solo nel campo dei
Fessi. Ma non ditelo ai loro alunni.