Le idee. Dalle materne al liceo. Integrazione Una sfida da vincere a scuola. di Marco Lodoli, da la Repubblica ed. di Milano dell'8/9/2006
Diciamo la verità, che come sempre è allo stesso tempo ovvia e scandalosa: l' integrazione scolastica tra ragazzi italiani e stranieri non è per niente facile. Tante pubblicità buoniste ci hanno illuso che la scuola potesse facilmente trasformarsi in un mondo di tanti colori dove tutti si capiscono facilmente e si vogliono un gran bene, una sorta di tavolata dove gli involtini primavera stanno accanto alla pizza, il chili accanto al cous cous, dove tutti, uniti dallo stesso appetito, mangiano di gusto e in allegria, scambiandosi con entusiasmo le esperienze, mescolando i linguaggi, arricchendosi a vicenda. Chissà, forse tra dieci o vent' anni sarà così, forse anche la nostra società, come quella americana, si potenzierà pescando da mille culture diverse, amalgamandole in un modo tutto nuovo. Ma per adesso bisogna riconoscere onestamente che sono più spine che petali, e che la soluzione non è proprio dietro l' angolo. Io che insegno da vent' anni in una scuola di periferia mi confronto ogni giorno con i silenzi timidi o ostili, con le diffidenze reciproche, con il sospetto e addirittura con il razzismo che nascono e crescono quasi in ogni classe. La ragazzina marocchina non parla mai, educata in famiglia a non esprimere alcun parere: è buona, delicata, muta. Le ragazzacce italiane, tutte tatuaggi e piercing, canzonette e amorazzi, telefonini e sigarette, a volte la prendono in giro, anche pesantemente. Hanno poca voglia di porle domande, di capire i motivi del suo comportamento, la storia e la religione che da secoli stanno alle spalle della loro coetanea venuta dall' altra parte del Mediterraneo. E invece è una ragazza che sa mille cose, potrebbe essere un ponte prezioso se qualcuno volesse traversarlo. Accade lo stesso con la cinesina del primo banco, sorridente, intelligente, isolatissima. La macedonia stenta a formarsi, la curiosità non scatta, i gusti rimangono spesso separati. È curioso, semmai, vedere a ricreazione le ragazze arabe, peruviane, cinesi fare comunella, unite nell' emarginazione, amiche tra loro perché ignorate dagli altri. Anche noi professori fatichiamo a entrare in un rapporto positivo con questi giovani extracomunitari: spieghiamo Dante o Cavour, l' endecasillabo o l' impresa dei Mille, e capiamo che le nostre italianissime parole si perdono nell' aria prima di arrivare a questi nuovi studenti. Allora cerchiamo di rendere tutto più diretto, ma cambia poco. Le difficoltà linguistiche sono immense, gli argomenti per loro troppo distanti, e la frustrazione cresce. Va meglio alle elementari e nelle materne. Il gioco unisce il mondo: una palla è una palla ovunque, corrersi dietro o disegnare insieme è bello in ogni parte del pianeta. Gli adolescenti a volte sono un po' carogne, cercano un' identità, rifiutano d' istinto ciò che non capiscono: i bambini invece sono aperti, indifferenti al colore della pelle. Sanno solo che bisogna divertirsi insieme, chi c' è, senza divisioni e intolleranze. Bisogna partire da loro - credo che si stia facendo con il massimo della convinzione -, dai nostri bambini e da quelli arrivati ieri, o nati qui, nelle nostre città. Sono puri, simpatici. Loro sì che sono pronti a costruire ogni mattina una società multirazziale, un mondo nuovo. |