Istat: la riforma universitaria di Alessandro Giuliani La Tecnica della Scuola del 14/9/2006
In tre anni, dal 2001 al 2004, è cresciuto di quasi 10 punti percentuali (dal 24,8 al 34,2%) il numero dei diplomati italiani iscritti ad un corso universitario. Per l’Istat l’incremento si deve all’introduzione di percorsi più articolati e di breve durata, che ha avuto l'obiettivo di aumentare il numero di laureati riducendo gli abbandoni.
Proseguono gli studi grazie alla riforma universitaria che ha aumentato l'offerta di indirizzi, con la possibilità di seguire percorsi più rapidi: sono i diplomati italiani, la cui quota di iscritti alle università nel 2004 (pari al 34,2%) è aumentata di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2001 (24,8%). La conferma di un dato noto è di un’indagine dell'Istat, che osserva come "a seguito della riforma degli ordinamenti universitari, che ha introdotto percorsi più articolati e di breve durata con l'obiettivo di aumentare il numero di laureati riducendo gli abbandoni, i giovani diplomati del 2001, intervistati nel 2004 a tre anni dal conseguimento del titolo, mostrano una maggiore propensione a continuare gli studi". Che il proseguimento degli studi sia il fattore principale della mancata partecipazione al mercato del lavoro è confermato dal fatto che ben 9 diplomati su 10 indicano questa ragione per motivare la loro inattività. La decisione di buttarsi nel mercato del lavoro, comunque, è più frequente tra chi a seguito percorsi di tipo professionale, tra i maschi e tra i diplomati del Nord: è la scelta effettuata dall'88 per cento di chi proviene dagli istituti professionali e da più del 74 per cento tra quanti hanno studiato all'istituto tecnico; risulta invece inferiore al 36 per cento per coloro che hanno seguito gli studi liceali. Avere una formazione tecnico-professionale offre poi anche maggiori opportunità di un inserimento più stabile nel mercato del lavoro: più dell'87 per cento dei diplomati degli istituti professionali e tecnici è infatti impegnato in un lavoro continuativo. Anche da questo punto di vista, poi, sono i maschi e i neodiplomati del Nord quelli che hanno un'occupazione più stabile. Per quel che riguarda invece le tipologie di contratti, i recenti cambiamenti delle normative che regolano i rapporti di lavoro - osserva l'Istat - sembrano aver accentuato il processo di flessibilizzazione della prestazione lavorativa, in modo particolare nella fase di primo inserimento: tra i diplomati del 2001 che a tre anni dal conseguimento del titolo lavorano, se più del 43 per cento è occupato con un contratto a tempo indeterminato, quasi il 40 per cento ha un rapporto di lavoro a termine. Il 79 per cento, ad ogni modo, lavora come dipendente contro l'8% di autonomi. Circa le retribuzioni, i diplomati nel 2004 guadagnano in media 942 euro al mese, circa 111 in più rispetto al 2001, con coloro che provengono dai licei e dagli istituti tecnici che hanno la busta paga più pesante (rispettivamente 1.016 e 964 euro). Pure in questo caso le donne e i diplomati del Mezzogiorno si trovano in basso alla classifica: mentre gli uomini guadagnano in media 1.007 euro, le donne dichiarano 156 euro in meno. Nel Mezzogiorno si concentra poi la più alta percentuale di diplomati che non guadagna più di 750 euro al mese (33 per cento, rispetto al 14 per cento del Nord e al 23 per cento del Centro). Tuttavia, le aspettative in termini di reddito di chi cerca un lavoro a tempo pieno sono mediamente superiori alle retribuzioni reali: 1.000 euro (1.154 euro le richieste dei maschi e 942 euro quelle delle donne). Non tutti i diplomati, infine, riescono a trovare un'occupazione adeguata alla formazione ricevuta: il 52,2 per cento risulta occupato in attività per le quali è richiesto un diploma di scuola secondaria superiore, mentre il restante 47,8 per cento svolge lavori per i quali il diploma non è un requisito indispensabile. |