Editori e amministratori pubblici, intellettuali e
industriali a confronto negli Stati generali dell'editoria. Il 57,7%
non ha aperto un volume.
Italiani sempre più lontani dai libri
nel 2005 la metà non ha mai letto.
Mediamente si spende in un anno quanto una cena
(non cara)
al ristorante. Scenario allarmante per le iniziative a scuola.
la Repubblica del
21/9/2006
ROMA - Nemmeno uno. Al massimo tre. Che gli
italiani leggessero poco è cosa nota. E il fatto che in tutto il 2005,
più della metà dei cittadini (57,7%) non ne abbia preso in mano
neanche uno, è una triste notizia. Tutt'altro che buona, vista la
strettissima relazione che vige tra indice di lettura e Pil e
considerato che la scuola, invece di incoraggiare alla lettura, fa
altro. Gli italiani, mediamente, spendono per i libri in un anno
quanto destinano per una cena in trattoria.
E' desolante il quadro che emerge dalla ricerca dell'associazione
italiana Editori sul valore di sviluppo economico della lettura,
presentata oggi a Roma nell'ambito dei due giorni "Gli Stati generali
dell'Editoria", manifestazione che riunisce editori e amministratori
pubblici, intellettuali e industriali.
A dire il vero, la palma d'oro come fanalino di coda nella lettura
l'abbiamo vinta nel 2000: allora, il 61,4% degli italiani non aveva
letto nemmeno una riga in 365 giorni. Consola, dunque, che nell'arco
di cinque anni, siano rientrati nel calderone della lettura quasi due
milioni e mezzo di persone.
Nonostante ciò, la strada per competere sui mercati internazionali è
ancora lunga e tutta in salita. Se, infatti, appena il 5,7% degli
italiani legge almeno un libro al mese, il 42,3% della popolazione ci
mette un anno per arrivare alla fine. I restanti, come detto, non ne
hanno mai maneggiato nemmeno uno. Scenario ben diverso da quello
francese (61%), tedesco (66%) e inglese (73,5%). E che cosa dire dei
64 euro e rotti a testa che gli italiani spendono mediamente in un
anno per i libri, scolastici compresi, a fronte, ad esempio dei 209
spesi dai norvegesi?
L'altro tasto dolente che evidenzia il rapporto è lo stretto
collegamento che esiste tra il tasso di lettura e la produttività
economica. Prendendo in esame un periodo che va dal 1980 al 2003, i
risultati sono inequivocabili. Le regioni del nord, che contribuiscono
per il 54,02% al Pil, raccolgono il 53,4% dei lettori; quelle del
centro, che portano il 21,03% del Pil contano il 20,24 % dei lettori e
il sud, infine, che contribuisce per il 24,94% al Pil, totalizza il
26,2% degli affezionati alla parola scritta.
Dunque, più lettori è uguale a più Pil. E, scendendo nello specifico,
i numeri non mentono: si va dalla Lombardia, che contribuisce al Pil
per il 18,9% e ha il 20% di lettori, alla Puglia, con il 4,7% del Pil
e il 4,6% di lettori. In altre parole, la lettura rispecchia
perfettamente i fattori di sviluppo economico presenti nelle varie
aree regionali. Basti un esempio: se la Calabria, stima il rapporto,
avesse avuto negli anni '70 il tasso di lavoro della Liguria, oggi
avrebbe una produttività del lavoro maggiore di 50 punti. E ancora, se
in Abruzzo si fosse mantenuto un tasso di lettura pari a quello medio
nazionale, oggi la produttività della regione sarebbe maggiore di 20
punti.
Strettamente collegato è anche il rapporto tra tasso di lettura e
performance scolastiche degli studenti. Ed ecco che chi ha la fortuna
di avere in casa una piccola biblioteca ha risultati scolastici
superiori del 17% ai loro compagni.
Dati di cui, però, le famiglie italiane non sembrano essere
consapevoli: gli investimenti in acquisto di libri negli ultimi tre
anni sono calati del 16,9%. Una disaffezione alla lettura socialmente
trasversale: se le famiglie di operai destinano lo 0,67% della spesa
complessiva nell'acquisto di libri, all'incirca la stessa quota è
riservata dai dirigenti e liberi professionisti. Ancora meno (lo 0,59
per cento) è il "sacrificio" dei lavoratori in proprio. D'altronde,
appena il 46% di dirigenti e professionisti leggono per aggiornamento
professionale. Un dato allarmante, se lo si paragona, per esempio,
all'81% della Francia.
A destare preoccupazione è anche il grave ritardo delle infrastrutture
in Italia, soprattutto al sud. Senza arrivare ai casi limite dei 112
comuni con più di 20mila abitanti che non hanno nemmeno una libreria,
al sud e nelle isole la situazione è preoccupante: appena il 5% dei
comuni ne possiede almeno una. Tradotto, significa che più di 7
milioni e mezzo di persone non possono entrare in libreria. E non è
nemmeno tutto oro quello che luccica, visto che solo il 3% delle
biblioteche ha una quantità di libri "significativa" (oltre i 100mila
volumi). E non consola più di tanto apprendere che le risorse
destinate dalle biblioteche pubblicche si aggirano intorno ai 2 euro
pro capite all'anno per l'acquistdo di nuovi libri di lettura.
Dulcis in fundo, il rapporto mette in luce anche l'incoraggiamento
alla lettura fornito dalla scuola in maniera assolutamente
insufficiente. A cominciare dal fatto che le biblioteche scolastiche
sono quasi del tutto assenti e meno di un'istituto su quattro ha una
collocazione a scaffale aperto. Se poi si pensa che solo il 13,6%
degli studenti e addirittura il 2% dei docenti frequenta quelle
esistenti la situazione si fa plumbea.
Si conferma basso anche l'investimento annuo degli istituti: 3,31 euro
per studente, ovvero un cappuccino e brioche al bar. Dunque, conclude
il rapporto, la scuola non incoraggia alla lettura "contraddicendo la
logica della società dell'informazione, la cui parola d'ordine è
formazione e autoformazione continua e permanente". Ecco perché c'è
poco da stupirsi se appena l'11,9% dei giovani in cerca di prima
occupazione dichiara di leggere libri per migliorare la propria
preparazione professionale.