Un piano straordinario. Ma non risolutivo.

 di Pietro Reichlin, da La Voce del 31/10/2006

 

Nella parte che riguarda l’università, la legge Finanziaria impone vincoli alle assunzioni di personale docente con l’articolo 70, comma 3. E, allo stesso tempo, istituisce un "piano straordinario di assunzione di ricercatori" con lo stesso articolo, comma 5. Qual è la ratio di queste disposizioni apparentemente contraddittorie? Perché il governo non si limita a determinare una somma di denaro per gli atenei, lasciando a questi la facoltà di assumere chi vogliono?

 

Perché un "piano straordinario"?

Dobbiamo dedurre che, secondo il governo, le università non sanno badare a se stesse. Il "piano straordinario di assunzioni" serve probabilmente a riequilibrare la distribuzione del corpo docente tra le diverse fasce, aumentando la componente dei ricercatori di ruolo. Se diamo 100mila euro a un ateneo da spendere liberamente per il personale docente, siate sicuri che questi soldi saranno utilizzati per promuovere a una fascia superiore i docenti in ruolo presso quello stesso ateneo, anziché assumere giovani che non fanno ancora parte del corpo accademico.

Questa mancanza di fiducia da parte del governo è giustificata dall’esperienza trascorsa. Tuttavia, il "piano straordinario" non è convincente. Appare come la nuova edizione di una vecchia prassi: procedere saltuariamente all’assorbimento nella pubblica amministrazione di una gran massa di contrattisti e precari, "saltando" le normali procedure concorsuali. Chi è abbastanza fortunato da trovarsi nel momento giusto in possesso di qualche contratto si può accomodare, gli altri dovranno attendere la prossima tornata. Il ministro Mussi è certamente convinto che si debba fare una selezione severa e meritocratica, ma questa non è mai facile quando si fanno concorsi pletorici. In ogni caso, non si capisce la ragione di adottare piani di straordinari.

 

Tante promesse ai giovani

L’università italiana, come tutte le università del mondo, si avvale del contributo di ricercatori "a contratto", cioè non ancora titolari di una posizione a tempo indeterminato. Negli Stati Uniti e in molti paesi europei è così che si comincia la carriera. Queste posizioni consentono agli atenei di verificare le capacità dei ricercatori, prima di impegnare in modo permanente le proprie risorse finanziarie. Il governo farebbe malissimo a motivare il "piano straordinario di assunzioni" con la necessità di eliminare il "precariato". Le anomalie da sanare sono ben altre.

Una di esse è che, in Italia, i contratti a tempo determinato (ad esempio, gli assegni di ricerca) sono retribuiti troppo poco. La seconda anomalia è che i contrattisti meritevoli non hanno la certezza di poter accedere rapidamente a una posizione di ruolo. Infatti, le università promuovono i docenti per anzianità, più che per merito, e i meccanismi concorsuali sono lunghi e complicati. Il risultato è che (a) l’età media dei professori ordinari (e anche dei ricercatori confermati) è spaventosamente elevata e (b) gli atenei non rinnovano con sufficiente rapidità il personale docente.

Il nostro governo non ritiene necessario incentivare gli atenei ad aumentare l’importo degli assegni di ricerca, oggi pari a circa 18mila euro lordi all’anno. Si limita, invece, a promettere agli assegnisti un posto da ricercatore di ruolo. Si noti che lo stipendio di un ricercatore di prima nomina non è superiore a 18mila, mentre le possibilità di procedere nella carriera sono sostanzialmente legate all’anzianità di servizio. Non mi sembra che i ricercatori più ambiziosi e preparati abbiano di che rallegrarsi. Possono rallegrarsi solamente coloro che, non avendo la voglia e il talento per fare ricerca d’eccellenza, si trovano ora in mano un biglietto della lotteria, che potrebbe permettergli di avere, per sempre, un modesto stipendio fisso. Non credo neanche che la promessa del ministro Mussi di trasformare il ricercatore di ruolo in professore di "terza fascia" sia una grande soddisfazione. Lo stipendio rimane invariato e i carichi didattici forse aumentano. Se il governo voleva correggere la tendenza degli atenei a promuovere i suoi stessi docenti, anziché aprire le porte ai giovani, bastava scegliere con convinzione una strada che il ministro si è già impegnato a seguire: la riduzione dei fondi alle università che non producono ricerca di buona qualità in base alle indagini di un’agenzia di valutazione (già istituita). Imboccare questa strada porta con sé il rinnovamento e l’abbassamento dell’età media dei docenti.

In un paese "normale" non dovrebbero esistere ostacoli alla possibilità che una giovane ricercatrice (o ricercatore) di valore possa vincere in tempi brevi un concorso da associato o, anche, da ordinario. Perché in Usa si può diventare full professor a trent’anni, mentre in Italia si diventa ordinari in prossimità della pensione? In questa situazione, la stabilizzazione dei precari in una terza fascia di docenza non è solo inutile, ma può essere anche dannosa. Senza un cambiamento dei sistemi di reclutamento e in assenza di incentivi alla ricerca, il piano straordinario di assunzioni avrà un effetto negativo sui bilanci futuri delle università, bloccando l’accesso alle generazioni successive. Inoltre, la stabilizzazione fornisce un alibi per rallentare la carriera dei giovani: chi ha un contratto a tempo indeterminato e scatti di stipendio automatici può perdere un concorso (per associato od ordinario) senza rischiare il posto, e accontentarsi di una carriera lenta, ma inesorabile.

Con l’articolo 70 di questa Finanziaria, si stenta a riconoscere che gli incentivi e i disincentivi (vedi agenzia di valutazione) si devono accoppiare con la massima autonomia e libertà d’iniziativa. Alcune università, come la Bocconi, la Luiss e Torino con la Fondazione Collegio Carlo Alberto, hanno cominciato a bandire contratti a tempo determinato per le discipline economiche, che garantiscono stipendi annuali non inferiori ai 40-50mila euro. Per queste università, si tratta di un sacrificio economico notevole che risponde alla necessità di trovare i migliori ricercatori presenti sul mercato accademico. A costoro interessa soprattutto che il sistema di reclutamento dell’università italiana sia fluido ed efficiente.