Piazze luminose, oscure aule. Stefano Borgarelli, da DocentINclasse del 2/11/2006
“E allora, che si leggano pure nelle aule e nelle piazze i versi di Dante e Leopardi, […] ma che si aggiungano ai programmi di scuola e di teatro anche e soprattutto le prose di Galileo e di Newton […]”. Concessione generosa ed esortazione chiudevano un articolo dello scorso agosto – “Galileo, poeta della luna”, Repubblica 31/8/06 – scritto in margine al Festival della Mente di Sarzana da uno dei protagonisti dell’evento. Piergiorgio Odifreddi, matematico, vi era coinvolto come lettore di testi da Galilei. Da nord a sud la moda è questa. Le aule universitarie reggono sempre peggio ormai il confronto con le piazze, dove la cultura si consuma sotto forma di performance. Tra aule scolastiche e piazze, poi, proprio non c’è storia. Basta che stiamo all’implicazione del loico Odifreddi. Se Galileo dev’essere “aggiunto” ai programmi, vuol dire che finora ne è rimasto escluso. Non è che lo scienziato (Odifreddi intendo) scruti le aule scolastiche col cannocchiale rovesciato. E’ che qualche settimana di letture condotte in classe sulla Lettera a Benedetto Castelli – lì scienza e religione cominciavano le pratiche per il divorzio – sul Saggiatore, sul Dialogo, equivale a escludere (logicamente, lo ammettiamo) il grande scienziato dai programmi di scuola (vuoi mettere, invece, una tre giorni in piazza sulla Mente, col suo luminoso programma sponsorizzato Enel in cartellone?). Non erano tuttavia i programmi del pianeta-scuola (quasi per caso, eppure così acutamente osservato) il centro gravitazionale dell’articolo di Odifreddi, ma quelli che, rinnovati, devono attrarre nell’orbita delle piazze nuove masse (di consumatori). Con Galileo al posto di un Dante “precursore dei fumettoni alla Dan Brown”, farcito di “bassezze cosmologiche, teologiche, filosofiche e politiche”, perciò discutibilmente declamato da Benigni e Sermonti: “[…] non sempre e non tutti abbiamo voglia di ridere, e a volte qualcuno potrebbe desiderare la seria lettura di pagine che fossero nobili e alte anche per il pieno contenuto, e non soltanto per la vuota forma.” Curiosa l’implicazione (logica) per cui, anche se una forma è “vuota”, le pagine che la ospitano restano “nobili e alte”. Ma osserviamo che stornato dal cosmo dantesco (basso), e puntato sulla luna di Galileo, il telescopio del matematico riscopre la vecchia faccia della forma scissa dal contenuto. “A prescindere”, avrebbe detto Totò – e Croce (Benedetto) con lui, a proposito della forma: mero recipiente (a perdere) del contenuto. Povero Galvano della Volpe (la forma è concetto, ratio), poveri Sklovskij, Tynjanov, Lotman (il primato spetta al procedimento)! Troppo stretta la piazza dell’evento per voi, non ci entrate. Le masse non vi possono vedere perché i nuovi intellettuali organici (agli sponsor) non vi hanno visti. E pensare che dal loro pulpito vengono esortazioni e prediche ai tanti che vi hanno scorti a suo tempo. Senza inforcare nemmeno gli occhiali. STEFANO BORGARELLI |