Dopo anni di polemiche sui
finanziamenti alle scuole non statali,
il maxi-emendamento della Finanziaria, approvato alla Camera e in
esame al Senato, reintroduce "i contributi alle scuole paritarie". E
lo fa di soppiatto.
La grande torta dell'istruzione privata.
Vittorio
Strampelli,, da
Aprile On Line.info del 22/11/2006
Lungo e complesso è l'iter che porta
all'approvazione della legge Finanziaria e mille sono le insidie che
si annidano sulla sua strada. Non tutto è come sembra, è spesso una
lettura attenta dei documenti può riservare non poche sorprese.
Il testo che - dopo aver ottenuto il via libera dalla Camera dei
Deputati - sta venendo attentamente dibattuto al Senato proprio in
queste ore, si compone di un unico articolo e di oltre 800 commi, che
raccolgono i vari emendamenti proposti e approvati nelle varie sedute
parlamentari: uno stratagemma di cui il precedente governo fece largo
uso, affinché la fiducia, che andrebbe chiesta articolo per articolo,
venga invece posta una sola volta, con un evidente risparmio di tempo.
Il famigerato maxi-emendamento che ne risulta, tuttavia, finisce
spesso per essere diverso dalla sua versione iniziale. Alcune voci
vengono accorpate, altre modificate o eliminate, altre ancora spuntano
fuori dalla sera alla mattina senza alcun preavviso.
È il caso - e la prudenza suggerisce di non considerarlo isolato -
dell'articolo 68, dodicesimo comma, dell'originario Disegno di Legge
AC 1746 bis-A, recante "Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007". Qui, si
leggeva che "al fine di dare il necessario sostegno alla funzione
pubblica svolta dalle scuole paritarie nell'ambito del sistema
nazionale di istruzione, a decorrere dall'anno 2007, gli stanziamenti
[...] sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro, da
destinare prioritariamente alle scuole dell'infanzia". Nonostante
lunghe battaglie, proteste e manifestazioni, nel primo decreto fiscale
della XV legislatura tornavano a fare capolino i finanziamenti alle
scuole private, a tutto svantaggio dell'istruzione statale. Nondimeno,
considerando l'esiguo numero di asili e scuole materne di Stato,
l'ennesimo favore agli istituti "paritari" poteva, almeno in parte,
trovare una giustificazione plausibile.
Nel passaggio dal Ddl al testo finale approvato dalla Camera, il
dodicesimo comma dell'articolo 68 ha fatto perdere le sue tracce. In
compenso, in seno all'unico articolo del maxi-emendamento è nato un
nuovo comma, il numero 293, a parziale integrazione del suo
predecessore. Parziale, perché il comma 293 introduce qualche
cambiamento di non poco conto: niente aumento di 100 milioni, ma
conferimento al governo, e ad un suo esponente in particolare, della
facoltà di emanare ogni anno un decreto sui finanziamenti agli
istituti privati. "Il ministro della Pubblica Istruzione - si legge -
definisce annualmente, con apposito decreto, i criteri e i parametri
per l'assegnazione dei contributi alle scuole paritarie [...]. In tale
ambito i contributi sono assegnati secondo il seguente ordine di
priorità: scuole dell'infanzia, scuole primarie e scuole secondarie di
primo e secondo grado". Altro colpo di scena: accanto alle scuole
materne compaiono ora esplicitamente anche tutte le altre, elementari,
medie e superiori.
In sintesi, quindi, se prima era il Parlamento (che, si sa, è
"sovrano") ad approvare di anno in anno, attraverso la Finanziaria, i
contributi da destinare agli istituti paritari, l'astuto colpo ad
opera di ignoti permette al titolare del dicastero dell'Istruzione -
nella fattispecie Beppe Fioroni (che, si sa, è della Margherita) - di
decidere in totale autonomia quanto, dei fondi previsti, dirottare
verso gli istituti privati (che, si sa, sono per il 90 per cento
cattolici).
A scoprire la magagna, il deputato dei Comunisti italiani ed ex
direttore di questo quotidiano on-line, Nicola Tranfaglia. Ironia
della sorte, il gruppo dei Comunisti italiani a Montecitorio aveva a
suo tempo presentato - con la prima firma proprio di Tranfaglia - un
emendamento al provvedimento originario, in cui si chiedeva venissero
eliminati tout court i finanziamenti statali alle scuole private,
mentre un'altra parte del Centrosinistra - Margherita e Udeur -
appoggiavano la richiesta di Fioroni di aumentarli da 100 a 150
milioni di euro. L'unico risultato di quella iniziativa, tuttavia, era
stato di bloccare l'ulteriore incremento e di limitarlo alle scuole
dell'infanzia.
A questo punto, le speranze che al Senato si effettui una correzione
di rotta sono ben poche: come ammette lo stesso Tranfaglia, se si
fosse arrivati ai ferri corti, "i numeri della Camera avrebbero
permesso, al limite, di approvare la Finanziaria anche lasciando fuori
la Margherita". A Palazzo Madama, invece, il margine è tanto ristretto
che bastano appena "quattro o cinque senatori della maggioranza che si
dichiarino contrari per bloccare tutti i lavori".
Siamo di fronte, ammette il deputato del PdCi, ad "un'accettazione di
fatto della politica berlusconiana, e ad un ampliamento di quella
fatta dal primo Centrosinistra".
La storia di amore-odio tra Stato e istruzione privata, ricorda
Tranfaglia, ha in realtà origine con Bettino Craxi, a metà degli anni
Ottanta. Poi, alla fine degli anni Novanta, con Massimo D'Alema
presidente del Consiglio, l'allora ministro della Pubblica Istruzione
Luigi Berlinguer emanò due decreti (DM 261/98 e DM 279/99) poi
coordinati in un unico testo avente per esplicito oggetto la
"concessione di contributi alle scuole secondarie legalmente
riconosciute e pareggiate". D'altronde, lo specifico riferimento alla
necessità di una forma di parità tra scuola pubblica e privata,
inserito già nel programma elettorale dell'Ulivo (con la tesi n. 66)
era una precondizione necessaria per l'alleanza tra centro e sinistra.
Ma i presupposti per una successiva, sistematica e regolare
concessione di finanziamenti alle scuole private erano stati gettati.
L'approvazione della legge sulla parità scolastica, la n. 62 del 2000,
ancora con D'Alema, ha poi messo la ciliegina sulla grande torta
dell'istruzione cattolica: con essa, le scuole private entrano a far
parte a pieno titolo del sistema di istruzione nazionale. Da questo
momento in poi, pertanto, devono essere trattate "alla pari", anche
sul piano economico, e vengono equiparate, quanto a trattamento
fiscale, agli enti senza fini di lucro.
È con il secondo governo Berlusconi, tuttavia, che gli istituti
privati compiono il grande salto: alla testa del dicastero
dell'Istruzione c'è l'attuale prima cittadina di Milano, Letizia
Moratti, la quale, con il DM 27/2005, apporta alla precedente legge
alcune piccole ma sostanziali modifiche: in primo luogo, sostituendo
la "concessione dei contributi" con una più esplicita "partecipazione
alle spese delle scuole secondarie paritarie".
Ed ecco che arriviamo ai giorni nostri. "Abroghiamo la Moratti" è
stato uno dei cavalli di battaglia di una certa parte dell'Unione
durante la campagna elettorale, quella stessa parte che torna oggi a
denunciare la poco chiara operazione. Rimettere mano al sistema
scolastico dopo la disavventura berlusconiana, più in generale, era
comunque un'idea comune a tutte le forze del centrosinistra.
"Intervenire pesantemente e all'ultimo momento, da parte del governo,
per riportare la situazione a quella precedente - è l'amara
conclusione di Tranfaglia - è un fatto molto grave".