Il disabile picchiato e umiliato a scuola Quelle violenze crudeli e stupide. Claudio Magris, Il Corriere della Sera del 19/11/2006
Quattro studenti diciassettenni di un Istituto tecnico torinese si sono divertiti a percuotere, umiliare e tormentare un loro compagno - affetto da una disabilità che gli impediva di difendersi e di rispondere come si deve a uno schiaffo con almeno due - dinanzi agli altri allievi della classe, pare compiaciuti dello spettacolo e dunque non meno colpevoli e beoti di loro. Hanno anche registrato la loro impresa in un video. A ciascuno la sua immortalità. Quartetto e spettatori erano presumibilmente ignari di ripetere un banale, stupido e coatto copione di crudele viltà recitato migliaia di volte da quei pessimi attori che siamo noi esseri umani, quasi tutti tentati, una volta o l'altra, di recitare simili parti odiose e imbecilli, di infierire su qualche vittima indifesa o quanto meno di seguire e imitare, eccitati come una muta di cani, qualcuno che si improvvisa capobranco. L'autorità scolastica ha deliberato le sanzioni punitive e la Procura dei minori sta valutando eventuali aspetti penali, mentre le cronache rovesciano sulle pagine dei giornali una cascata di episodi analoghi e ben più gravi, compresi stupri di bambini, che si succedono dovunque. Più che sulla repressione e punizione di tali abiette violenze, la discussione, in questi casi, si accende sul «ricupero» e la rieducazione dei colpevoli, sulle motivazioni (prossime o lontane nel tempo) dei loro gesti, sugli aspetti socio-psico-pedagogici e via di seguito, non senza compiacimento di denunciare la nequizia dei tempi, la decadenza dei costumi e dei valori, la società sempre falsa e bacata. «Vogliamo un confronto diretto con loro, parlare, capire le ragioni di quella violenza», si è affrettato a dire qualcuno, riferendosi al quartetto dell'Istituto di Torino. Tutto ciò è giustissimo; capire un fenomeno aberrante è indispensabile per poterlo combattere e inoltre ognuno, anche l'autore di reati ben più gravi e perfino di crimini efferati, deve essere ascoltato, difeso nella sua dignità e tutelato nei suoi diritti; il suo comportamento delittuoso va compreso, anche se ovviamente non per questo assolto. Ma la cultura del «parliamone» rischia talvolta di tradursi in una verbosa retorica, in un'involontaria e involontariamente comica parodia della democrazia. Pure chi getta le immondizie dal finestrino del treno può avere avuto un'infanzia difficile, ma forse è meglio fargli pagare una multa che offrirgli un corso di buone maniere. Anzitutto, quando si parla di trasgressioni a scuola, occorre distinguere tra le ripugnanti violenze - come quella avvenuta nell'Istituto torinese, per non parlare di altre ancor più gravi - e quella giocosa indisciplina, che l'insegnante deve impedire, perché tale è il suo ruolo, ma che è il sale della vita di una classe scolastica, un condimento che rende più saporiti i piatti forti dello studio. È alquanto buffo accomunare, come è stato fatto, le immagini di gravi violenze a quelle di uno scolaretto che alle spalle del professore gli punta contro una pistola giocattolo, una fesseria innocua e neanche antipatica, che rientra in quella più generale dell'adolescenza, specialmente maschile, e che sarebbe sciocco prendere sul serio. Non è solo con la compunta pedagogia o con gli incontri di gruppo che si combatte il cancro della gregaria ed ebete violenza latente in ognuno di noi. Al ginnasio, ad esempio, ho imparato credo per sempre il senso della giustizia e il disprezzo del male da un singolare insegnante di tedesco, discutibile nei metodi ma geniale nel farci capire le cose essenziali della vita. Anche nella nostra classe c'era, come in molte, la vittima, un ragazzo che non sapeva reagire alle offese ed era l'oggetto di quell'inconsapevole ma non perciò meno colpevole crudeltà che c'è in ognuno di noi e che, se non è arginata dalle tavole di una legge esterna o interiore, si accanisce su chi in quel momento è debole. Nessuno di noi era innocente nei suoi confronti e nessuno di noi si accorgeva di essere colpevole. Un giorno, mentre il professore insegnava la coniugazione dei verbi forti, il vicino di banco - chiamiamolo Sandrin - di questo ragazzo gli prese d'improvviso la penna stilografica e la spezzò in due. Vedo ancora il volto della vittima diventare rosso e sudato, gli occhi riempirsi di lacrime per l'umiliazione e la consapevolezza di non essere in grado di reagire. Interrogato dall'insegnante sul motivo del suo gesto, Sandrin rispose: «Ero nervoso… e io quando sono nervoso non so controllarmi… sa, sono fatto così, è il mio carattere». Con nostro stupore, il docente replicò: «Capisco, sei fatto così, è il tuo carattere, non si può fartene una colpa, è la vita» e riprese la lezione. Dopo un quarto d'ora, cominciò a lamentarsi dell'afa, a slacciarsi la cravatta, ad aprire e a richiudere con fracasso la finestra, a dire che aveva i nervi a fior di pelle, finché, simulando un accesso di furore, afferrò le penne e le matite di Sandrin, spezzandole e scaraventandole in aria e per terra. Alla fine, fingendo di calmarsi, si rivolse a Sandrin: «Scusami, caro, ho avuto un attacco di nervi, io sono fatto così, è il mio carattere, non ci posso far niente, è la vita…» e riprese con i verbi forti. Oggi quella grande lezione non sarebbe possibile, con tutti i consigli di classe e gli organi assembleari. Ma è da quella volta che ho capito come la forza, l'intelligenza, la stupidaggine, la debolezza siano situazioni e parti che, prima o dopo, capitano a tutti. Bisognerebbe far capire a quei quattro (e a tanti altri come loro, a tutti noi) che la loro vigliaccata è stata, più che malvagia, imbecille e che un giorno si troveranno anch'essi a essere disabili rispetto a qualcun altro altrettanto stupido e brutale con loro quanto essi con quel loro compagno che, in quella circostanza, è stato l'unica persona civile e intelligente, ossia superiore, di tutta la classe. Quel copione di violenza si ripeterà, in chissà quali forme e chissà quante volte, con attori sostanzialmente identici sotto le diverse maschere. Contro la stupidità, ha scritto Schiller, anche gli dei combattono invano. Forse perché siamo in tanti ad essere affetti da questa forma vile e violenta di stupidità; un esercito straccione, una massa indistinta e anonima, che sarebbe problematico trattare con una terapia di gruppo. |