Nella relazione annuale sullo stato
dell'Università critiche
ai tagli in Finanziaria e, più in generale, alla miopia della politica
Rettori, l'allarme di Trombetti:
"Si rischia il blocco degli atenei".
"Non
investire nella ricerca vuol dire negare il futuro al Paese"
E Mussi ammette: "I tagli di Bersani un errore madornale"
Clotilde Veltri, la Repubblica del
9/11/2006
ROMA
- "Si è varcata la linea d'ombra. Ma dopo non c'è il mare calmo di
Conrad, c'è il baratro". Hanno deciso di di rompere definitivamente
gli indugi i rettori delle università italiane, che per bocca del loro
presidente - Guido Trombetti - bocciano le scelte in materia
finanziaria del governo e l'anciano l'allarme: così le università
finiranno per chiudere.
Trombetti non usa mezzi termini: "La parte normativa che il governo
sta costruendo per universtà e ricerca ci piace, e siamo pronti a fare
la nostra parte e accettare la sfida. Quella che non ci piace è la
parte finanziaria: quest'anno gli atenei rischiano di non poter pagare
fitti, le aule, gli strumenti didattici, persino l'acqua. Manca il
denaro per il quotidiano. Altroi che stringere la cinghia fino al 2008
- continua Trombetti -. E' ovvio che a tutti viene chiesto di fare la
propria parte nel risanamento fino al 2008. Ma non so se ci arriviamo,
al 2008".
In sostanza le università accusano i provvedimenti previsti in
Finanziaria di non riuscire nemmeno a coprire l'intero stanziamento
già atteso e, soprattutto, la legge Bersani di essere "una taglia" che
riporta al Tesoro i fondi degli atenei, impedendogli in alcuni casi di
chiudere i bilanci.
Lo stato degli atenei. Uno
scenario a tinte fosche Guido Trombetti articola nella relazione
annuale sullo stato degli atenei. Trombetti torna prepotentemente a
ricordare alla politica che così si rischia di affossare un sistema -
quello della ricerca - già debole rispetto agli standard europei.
Il rettore snocciola cifre dolorose: l'Italia spende per ogni studente
7.241 euro contro i 9.135 della Francia e i 9.895 della Germania.
Tradotto: impossibile assicurare agli studenti servizi di alta qualità
in grado di competere con gli atenei degli altri paesi. Se questo è il
punto di partenza, domani potrebbe andare peggio visto che il governo
non offre segnali rincuoranti.
"Il Fondo di finanziamento ordinario - ricorda Trombetti - che
dovrebbe assicurare all'Università la possibilità di svolgere nel
quotidiano la funzione di istituzione pubblica (sottolineo pubblica)
per l'alta formazione è quasi interamente assorbito dagli stipendi del
personale".
In sostanza, se si volesse tornare ai livelli del 2001 bisognerebbe
reperire un miliardo. E se è vero che la finanziaria 2007 aumenta gli
stanziamenti per la ricerca scientifica, è anche vero che lo sforzo
resta esiguo perché solo l'1,1% del Pil viene destinato a questo
settore contro l'obiettivo del 3% indicato dall'Agenda di Lisbona.
La condanna dei tagli.
Trombetti, è assolutamente consapevole, del momento difficile
attraversato dall'Italia: "Nessuno può tirarsi fuori dai sacrifici".
Però, quello che chiede il rettore, è un cambio di cultura e
mentalità. E' una maggiore consapevolezza che, disinvestire in ambito
universitario, vuol dire fare un danno all'intero sistema paese.
Parole dure Trombetti rivolge alla politica economica del governo
Prodi. Definisce "misure di assoluta cecità" il tagliaspese
conseguente al decreto Bersani, l'ammontare del Ffo, la penuria di
investimenti in edilizia. Per non parlare del taglio degli stipendi
dei ricercatori "provvedimento ingiustificato e punitivo".
Luci e ombre della riforma.
Il rettore fa poi il punto sugli effetti della riforma introdotta nel
2001-2002. Non tutto da buttare, dice Trombetti. Anche se spesso i
risultati sono stati inferiori alle aspettative. Se, per esempio, è
aumentato il numero delle matricole - segno questo assolutamente
incoraggiante - è anche vero che il 95% di chi consegue una laurea
triennale prosegue gli studi. Dato questo che va imputato, secondo
Trombetti, al difficile accesso al mondo del lavoro. Colpa dei ritardi
del legislatore nell'adeguare "le regole di ingresso in funzione dei
nuovi titoli di studio".
Resta poi alto il tasso di abbandono degli studenti tra il primo e il
secondo anno. E se è vero che il numero dei laureati è aumentato -
passando da 161 mila nel 2000 a 301.300 mila nel 2005 -, è anche vero
che è aumentata pure la offerta formativa. Troppo. Prima della riforma
i corsi offerti dagli atenei erano 2.444. Dopo sono diventati 5.434
(122,3% in più). Una proliferazione spesso dannosa e inutile che ha,
tra gli effetti negativi, la frammanetazione degli nsegnamenti e il
conseguente ricorso - per la didattica - a esperti esterni che spesso
sono svincolati dalla ricerca. Il rischio è che l'Università si "liceizzi".
La ricerca: eccellenza a rischio. Il capitolo della relazione dedicato
alla ricerca tratteggia un comparto che, nonostante le scarse risorse,
nonostante gli annosi problemi descritti da Trombetti, resta d'accellenza.
Lo dicono le indagini che valutano in modo molto positivo
l'istituzione italiana e il suo personale. "Negli ultimi anni, spiega
Trombetti, il 47% delle aree scientifiche italiane ha raggiunto un
impatto superiore alla media mondiale".
Inoltre, aggiunge, la valutazione del Civr (comitato di indirizzo per
la valutazione della ricerca, ndr) ha evidenziato che praticamente in
ogni ateneo vi sono aree di accellenza. Tutto questo, però, rischia di
essere vanificato se la politica non investe sui giovani. Si legge:
"Troppo lento l'inserimento nel mondo della ricerca. Troppo basse -
verrebbe da dire ridicole - le retribuzioni. I giovani non hanno
incentivi a rimanere nel mondo della ricerca. E se i giovani si
scoraggiano, il danno per il mondo scientifico è irreversibile. Direi
premonitore del declino dell'intero Paese. Bene ha fatto, pertanto, il
Governo a produrre uno sforzo di investimento lanciando un piano di
reclutamento straordinario di ricercatori. Un simile progetto,
andrebbe certamente sostenuto con risorse più cospicue di quelle oggi
iscritte in Finanziaria. Il rischio reale è che la situazione
finanziaria degli Atenei, sempre più rovinosa, costringa gli Atenei
stessi a ridurre gli investimenti in posti di ricercatore.
Trasformando così il lodevole sforzo del Governo da aggiuntivo in
sostitutivo".
Internazionalizzazione e governance.
Poi c'è la questione culturale, che va di pari passo con le risorse
destinate agli atenei. L'Università ha bisogno di coltivare la propria
vocazione internazionale, il proprio essere parte di un sistema
globale. "Nel campo della ricerca, sul piano internazionale, scontiamo
almeno un decennio di sottofinanziamento", avverte Trombetti.
Infine la governance: il rettore chiede un cambio di mentalità che
deve essere accompagnato da nuove regole, da un nuovo patto tra atenei
e Stato. Ai primi deve essere lasciato campo libero nelle decisioni
gestionali e progettuali. Una volta destinate, le risorse devono
essere amministrate con libertà. Al secondo va demandata invece la
fase importantissima dei controlli sui risultati ottenuti. Controlli
rigidi e puntuali. Oggi avviene il contrario, con conseguenti
imbavagliamenti burocratici che non sono più accettabili, che rendono
vecchio un settore che, al contrario, deve essere all'avanguardia.