Questo o quello. Gianfranco Pignatelli, presidente nazionale dei C.I.P. 22/3/2006
L'uno vale l'altro. E' il motto del qualunquista: disilluso o disimpegnato che sia. Del cittadino senza cittadinanza che non si sente o non vuol essere rappresentato. Come dargli torto. Che lo chiamino contratto o programma, che nasca nel consiglio d'amministrazione degli aziendalisti della politica o provenga dalla sedicente fabbrica, non fa differenza. Sono enunciazioni vaghe, hanno la leggerezza e la fragilità delle bolle di sapone. Ciascuno può specchiarsi o riempirle delle aspettative che gli fanno comodo, ma anche ridurle a miseri sputi saponati. Accade questo anche per la scuola che verrà. La destra, si sa, vuole completare l'opera di dismissione della scuola statale e distrazione delle risorse dal pubblico al privato. Non ha rinnegato la destabilizzazione dell'istruzione attuata dalla Moratti ma, anzi, ha addobbato una vetrina di fine legislatura chiamata La scuola in cifre. A saper cercare, tra le cianfrusaglie di fine mandato, si ricava che, negli ultimi anni, i docenti in ruolo sono diminuiti di oltre il 15%, passando da 770 a 698 mila. Per contro, quelli precari, sono aumentati del 153%, passando da 53 a 134 mila. Il tutto, in nome della cosiddetta "razionalizzazione della spesa", quella che ha ridotto gli investimenti per l'istruzione dal 4,2 al 3,9 % del PIL; sottratto scuole dell'obbligo (-9,21%), classi (-1.206) e cattedre (-25.936), nonostante il consistente aumento degli alunni (+67.716). Per contro, rispetto al 2004, è aumentato del 40% il contributo in favore degli iscritti nelle scuole paritarie e quelle cattoliche sono state dispensate dall'ICI. Ma questo il sito del MIUR non lo scrive. Un altro dato nascosto è quello dei 200.000 insegnanti che, già espropriati dalla riforma Moratti della residua dignità professionale, agguanteranno, entro il 2007, la misera pensione maturata, prima di aggiungere, al danno, la beffa finale. E se vincesse la sinistra? Corriamo il rischio di dar ragione alla storiella di Berlusconi su Prodi ed il baratro. Quella secondo cui Silvio ci ha portato sull'orlo e Romano ci farà fare un passo in avanti. Ma non c'è di che divertirsi. A cadere nel baratro saremo noi, i precari della scuola. Un tempo si sarebbe detto che stanno cambiando le carte in tavola; oggi, invece, si cambia il tavolo. Infatti, la pseudo Unione s'è "giocata" la scuola su tavoli divisi: abrogazionista uno, anti-abrogazionista l'altro. Il primo fedele a tutto quanto detto e fatto dal comitato "fermiamo la Moratti". Quello che ha portato in piazza studenti, insegnanti (precari e non), genitori e, finanche, figli e scolaresche come ironizzato e stigmatizzato dalla destra. Il secondo raccoglie i pavidi e gli ambigui di sempre. Noi precari abbiamo scioperato e manifestato, lo abbiamo fatto falcidiando le nostre esigue e sporadiche retribuzioni, ci siamo pagati le trasferte per urlare la nostra contrarietà alla contro-Riforma della scuola. Per cinque anni, su tutti i palchi, in tutti i convegni e in ogni assemblea, abbiamo convenuto con loro che la destra ha realizzato un'opera mirata di destabilizzazione e d-istruzione della scuola pubblica. E ora? Adesso che, finalmente, la Moratti s'è fermata, ecco che i solerti moderati ed i pragmatici dell'ultima ora la rimettono in moto, dando attuazione alla sua riforma. Per farlo ci dicono che non si può cambiare scuola ad ogni cambio di maggioranza, che l'ordinamento non è tutto, e così via. Di stoltezza in stoltezza a conferma che, per un quinquennio, abbiamo solo scherzato. Sempre più lontani dal voto e dalla politica? Come potrebbe essere diversamente se la politica ti attrae e poi ti scarica? Sono bastati gli esiti dei sondaggi perché la parte maggioritaria della sinistra rinnegasse gli ideali per i quali ha chiesto a milioni di cittadini di scendere in piazza o affollare i seggi delle primarie. Quale scuola ha partorito la fabbrica di Prodi? Sarà rilanciata la scuola di tutti e per tutti, quella laica e pluralista? Tornerà ad essere un'agenzia educativa che garantisca pari opportunità ai suoi cittadini, ovunque vivano a da qualunque estrazione provengano? Che ne sarà del tempo pieno, prolungato ed esteso? Verranno ripristinate le regole democratiche in seno agli organi collegiali? Come sarà valorizzata la funzione docente? Sarà tutelata la libertà didattica e incentivato l'aggiornamento? Si ripristinerà la continuità didattica indipendentemente dal vincolo dell'orario cattedra? Sarà incentivata la piena occupazione e, ad un tempo, scoraggiato il cannibalismo professionale dei docenti in ruolo che attraverso le graduatorie e le varie forme di mobilità sottraggono opportunità di lavoro ai precari? Saranno ripristinate le priorità acquisite negli anni? Cesserà il mercimonio di master, stage, perfezionamenti, specializzazioni e quant'altro imposto per non perdere posizioni in graduatoria? La formazione di nuovi docenti sarà subordinata al reale fabbisogno e circoscritto a quelle regioni e quegli insegnamenti che abbiano esaurito le graduatorie esistenti? L'università punterà ancora al profitto o ritornerà a fare ricerca e didattica rispettando l'autonomia della scuola? Sarà monitorata costantemente la compatibilità degli istituti privati con i parametri del sistema scolastico nazionale? Si verificherà il possesso dei titoli, i margini di autonomia e la tutela dei diritti sindacali per i loro dipendenti? In sintesi, ci sarà il coraggio di cambiare o si obietterà, con codardia, che non si riforma la scuola ad ogni cambio di maggioranza? L'Italia e la sua scuola sono stufe di preti spogliati senza idee e senza coraggio, di politici che sanno coltivare grandi ambizioni solo se all'opposizione ma non hanno l'onestà e la coerenza per realizzarle. La scuola non può essere solo all'opposizione di tutti, sempre. Ha il diritto di essere governata con equilibrio e saggezza, ha il diritto di avere, per sé, un progetto, così da poterlo offrire ai suoi giovani. La scuola è stanca dell'insofferenza per gli ordinamenti, dei tagli, delle privatizzazioni e di tutto il repertorio di nefandezze che ci ha propinato il governo uscente. Noi docenti abbiamo bisogno di sapere verso quale scuola e verso quale futuro andiamo. Insomma, se si fabbrica un nuovo programma o se ne ricicla uno vecchio. Abbiamo il diritto di sapere per chi e per che cosa votare. Noi precari siamo atterriti dal futuro. Per una destra che si ripromette di completare l'opera di d-istruzione perpetrata in questi anni. Ma anche da una sinistra che, se dovesse vincere, si appellerà alla impossibilità di cambiare tutto, senza che vi siano manifestazioni di piazza, né associazioni o sindacati ad eccepire alcunché. Noi precari saremo espropriati del futuro nella scuola e scaraventati, tra l'indifferenza bipartisan, nel precipizio evocato da Berlusconi?
Gianfranco Pignatelli |