Quali dubbi sul programma dell'Unione?

Roberta Roberti da Foruminsegnanti.it, 1/3/2006

 

da www.piazzaliberazione.it


E' stato pubblicato il programma dell'Unione. 281 pagine, di cui una quindicina su scuola, università e ricerca, sette delle quali unicamente dedicate alla scuola.

Sono stati espressi molti pareri sul contenuto del documento. Nel mondo della scuola non mi pare proprio ci sia stata un'accoglienza entusiastica, i commenti sono stati quantomeno tiepidi, e sono state espresse molte perplessità sui toni e nel merito del documento programmatico. Gli unici a sembrare entusiasti del risultato sono stati gli estensori del medesimo, e nemmeno tutti.

Qualcuno si è stupito ed irritato, non trovando disponibili al plauso tutti quei genitori, quei docenti e quegli studenti che da quattro anni resistono allo sfascio della scuola pubblica portato avanti dal governo Berlusconi.

Ma l'accusa di essere sempre e solo pronti a criticare, ora non regge più. E' stata infatti pubblicata martedì 7 febbraio in G.U. la Legge di iniziativa popolare per una Buona scuola per la Repubblica, frutto di diversi mesi di lavoro, studio, confronto e discussione nelle città e nelle scuole di tutto il Paese.

Penso che tutti noi ci siamo sinceramente rallegrati delle positive novità contenute nel documento sulla scuola. Riconosciamo all'Unione di aver mediato nella giusta direzione su alcuni temi centrali, come l'obbligo scolastico e le finalità della scuola, sui quali erano state assunte in precedenza posizioni assolutamente non condivisibili da alcuni suoi esponenti.

Tuttavia, ci aspettavamo francamente un po' più di coraggio su un tema centrale come quello dell'istruzione.

Ed è giusto spiegare perchè.

Innanzitutto, un documento programmatico tanto corposo risulta essere poco agile alla lettura, specie se non è accompagnato da un elenco di punti salienti e qualificanti, che dichiarino in modo diretto come si intendano tradurre le petizioni di principio, ovviamente condivisibili, in azioni politiche concrete.

Non si tratta, è evidente, di chiedere degli slogan: le nostre menti non sono deboli fino a questo punto. Ma non si tratta nemmeno di riempire le 15 cartelle sulla scuola con un elenco di buoni propositi: noi vorremmo sapere COME si intendono realizzare questi buoni, ottimi propositi.

Si tratta di pretendere una presa di posizione incontrovertibile, almeno su quei punti irrinunciabili, per i quali tutti abbiamo combattutto il progetto di scuola del centrodestra.

Recita il documento: ""Con gli atti dei primi mesi di governo, in radicale discontinuita' con gli indirizzi e le scelte di centro-destra, abrogheremo la legislazione vigente in contrasto con il nostro programma".

Perfetto. Ma visto che il problema dei redattori del documento non era di certo la sintesi, certe questioni credo valesse la pena di chiarirle con una maggiore precisione. Nulla si dice, invece, di come si tradurranno nella pratica queste prese di posizione dell'Unione.

Faccio alcuni esempi: come saranno ridefiniti i rapporti fra le scuole e le autonomie locali? come si vuole investire nella formazione degli insegnanti? cos'è per l'Unione la formazione degli insegnanti? come saranno ridisegnati esattamente gli organi collegiali? perchè non si prevede nemmeno per il futuro l'innalzamento dell'obbligo scolastico a 18 anni?

E se poi uno degli slogan che ci si accusa di voler sentire è "abroghiamo la Moratti", ebbene sì, vorremmo leggere anche quello, nel programma dell'Unione.

Dal 18 febbraio cominceremo la campagna di raccolta firme sulla legge popolare per una Buona Scuola. Non ci spaventa dire che cosa vogliamo in cambio della scuola morattiana. Ci spaventa molto di più non capire esattamente a che tipo di scuola pensi l'Unione.

La lettura del programma dell'Unione sulla scuola ha destato in me le stesse perplessità che due anni or sono ho manifestato alla lettura del programma dei DS sullo stesso argomento e degli scritti, anche i più recenti, di Andrea Ranieri. A fianco di petizioni di principio altamente condivisibili si ritrovano da un lato affermazioni vaghe e variamente interpretabili, dall'altro il silenzio assoluto su temi molto importanti (ad esempio le compresenze e la contitolarità nella scuola a Tempo Pieno) o ambigui tecnicismi e mantenimento di un insopportabile linguaggio aziendalistico su questioni particolarmente scottanti (l'obbligo scolastico, il valore legale dei titoli di studio, la formazione professionale e integrata).

Mi pare sia giunto il momento di pretendere degli impegni precisi, concreti, direttamente traducibili nella realtà delle nostre scuole. Mi pare sia arrivato il momento di eliminare le ambiguità, perché sappiamo tutti che il rischio è che, a elezioni avvenute, l'Unione riveda quel programma, e nella direzione esattamente opposta a quella che noi auspichiamo.

Quindi, a tutta l'Unione deve essere chiaro che quello che c'è nel documento non basta, e va rivisto alla luce di un serio ed ampio dibattito sulla scuola. Un dibattito che non censuri le opinioni, che sappiamo essere giunte assai numerose sul sito della Fabbrica del Programma, che dissentono dal coro.

Qualcuno dice di non capire in che cosa si distingua in fondo la nostra posizione da quella dell'Unione: cercherò di entrare nel merito almeno di alcune questioni, sulle quali pesano come macigni l'ambiguità o il silenzio del documento programmatico.

L'autonomia, ad esempio. Grazie alla famigerata autonomia, ogni scuola si è ritrovata isolata rispetto alle altre. E non mi si venga a raccontare che grazie ad essa si è contrastata la riforma Moratti: di fatto, quello con cui ci dobbiamo confrontare adesso è il caos. Inoltre, l'isolamento delle singole istituzioni scolastiche e la competizione che tra loro è nata fin dai tempi della riforma Berlinguer non solo non hanno indotto un innalzamento della qualità dell'offerta formativa, ma non hanno nemmeno consentito di generalizzare i successi di progettazioni innovative e di ragionare sugli insuccessi. Nel documento dell'Unione manca chiarezza riguardo alla questione dell'autonomia scolastica, che va radicalmente ripensata, perchè così com'è può forse contribuire a creare delle isole felici, a dire il vero assai poche dopo i tagli e l'innescarsi del sistema dello spoil system sulle dirigenze, ma senza dubbio non può contribuire in nessun modo, allo stato attuale, a migliorare il livello generale della Scuola. Anche le migliori sperimentazioni restano fatti privati dei singoli istituti, e non vengono realmente monitorate nè condivise.

Gli istituti scolastici sono piuttosto costretti a farsi concorrenza, aderendo a proposte di dubbia qualità offerte dagli enti locali per arrotondare le magrissime risorse, inventandosi spot pubblicitari, rendendosi appetibili "per l'utenza" e piegandosi al linguaggio aziendalistico che piace tanto anche a molti DS e a molta Margherita.

Basta vedere la smania da certificazione di competenze che imperversa in Emilia Romagna per rendersi conto di cosa ci si prepara se passa una certa idea di scuola nell'Unione. Le scuole superiori sono costrette, se vogliono accedere al sistema delle certificazioni (che si teme saranno indispensabili se non si mantiene il valore legale del diploma tecnico e professionale), a stipulare convenzioni con gli enti di formazione, che sono vincolate ad un gigantesco monte ore in calendario scolastico dedicato allo stage in azienda e alla formazione in aula.

Dopo l'introduzione dei bienni integrati, che mi auguro spariranno con l'elevamento dell'obbligo a 16 anni (ma anche a questo proposito, il biennio unitario proposto dall'Unione resta ambiguo in modo preoccupante), si stanno ora proponendo alle scuole convenzioni con gli enti di formazione anche per i trienni. Tali convenzioni (che tra l'altro sono state illustrate alle scuole ad anno scolastico già ampiamente avviato, vale a dire circa un mese fa) prevedono 250 ore di formazione all'anno in terza e quarta superiore, 50 delle quali in aula e 200 in azienda. Si tratta di 5 settimane di scuola.

Molte scuole si sono rifiutate di avviare i trienni integrati, che appunto per la smania di certificare non si sa che, impongono una netta riduzione del curricolo scolastico, non integrando un bel niente, semmai sostituendo una bella fetta di scuola con la formazione professionale.

Se mi si dice che la funzione primaria della scuola deve essere quella di educare alla cittadinanza consapevole, da dove viene questa ansia professionalizzante?

E dove sta in tutto questo il valore dell'autonomia? Le scuole non hanno alcuna voce in capitolo, nessuno le ha consultate prima di confezionare il pacco regalo. E' vero, possono sempre dire di no, e per fortuna in tanti casi lo fanno, privilegiando il loro ruolo di comunità educanti, rispetto a quello di ancelle del mercato economico. Ma non essere nemmeno state consultate nella progettazione di questi percorsi è sintomo quantomeno di sfiducia e di scarsa considerazione, il che, specie nel settore dell'istruzione tecnica e professionale nella regione Emilia Romagna, appare assai ingiusto e davvero demoralizzante.

Mi chiedo sulla base di quali considerazioni si ritiene che gli studenti dovrebbero vedersi sostituire una quota tanto rilevante di curricolo con un percorso di formazione professionale, che tra l'altro innestandosi su un basso profilo di conoscenze e di competenze, garantirebbe loro una qualifica di assai limitato valore professionale. Qualunque perito elettronico o informatico, con un corso di formazione di 250 ore postdiploma, potrebbe diventare "gestore di reti informatiche". Perchè anticipare questa specializzazione, deprivando i corsi di studio delle loro peculiarità e imponendo una riduzione delle conoscenze e delle competenze tecnico-pratiche generali?

Perchè non parlare finalmente di alta formazione tecnica superiore, se si vogliono valorizzare gli enti di formazione professionale? In un paese civile, quello dovrebbe essere il loro ambito.

Ecco perchè io sospetto e diffido delle generiche parole del documento dell'Unione sulla Scuola.

Perchè vedo che nella pratica di governo, invece di contrastare una certa deriva economicistica, il centrosinistra spesso la incoraggia e la diffonde, e non solo nella scuola superiore.

A livello di enti locali, in Emilia Romagna si sono ad esempio avviate molte soluzioni "innovative" in materia di gestione dei nidi e delle scuole dell'infanzia; il caso estremo è quello del mio comune, dove è stata istituita, e senza alcuna significativa opposizione da parte del centrosinistra, la Parma Infanzia S.p.A.tra Comune e partners privati.

Allora, sarò malfidente!, mi viene il sospetto che le petizioni di principio, così vaghe ed altisonanti, possano nascondere parecchi imbrogli e riservare brutte sorprese.

Vedo che la canalizzazione, di fatto, nella scuola dell'Unione rimane, e nemmeno troppo velatamente. Confindustria docet.

Vedo che non si parla dei titoli di studio, e che dopo aver tanto sbandierato la volontà di valorizzare l'istruzione tecnica e professionale, non si dice una parola sui diplomi di perito, ragioniere e geometra. La valorizzazione dell'istruzione tecnica e professionale non si realizza di certo confondendo il ruolo e la funzione di scuola ed enti di formazione, anzi, il risultato che si ottiene con questi pasticci è di svalutare e condannare al fallimento sia l'una che gli altri.

Veniamo poi ad un altro punto di scarsa chiarezza nel documento programmatico dell'Unione: le dirigenze, sulle quali non si dice praticamente nulla, scontentando tutti.
Tutti coloro che vivono nella scuola sanno che basterebbe un semplice provvedimento per aiutare la scuola a funzionare meglio, abbattendo drasticamente l'insuccesso e la dispersione scolastica: ridurre il numero di alunni per classe. Sarà anche questo uno slogan, ma mi sarebbe piaciuto leggerlo a chiare lettere nel programma dell'Unione sulla scuola. Nulla di tutto ciò, solo vaghe affermazioni sulle dotazioni di organico funzionale, che nessuno ci dice che saranno destinate alle attività d'aula, le uniche che servono davvero se si vuole fare una buona scuola.

Ci si propone di valorizzare le risorse: come? con la carriera degli insegnanti, alla quale fanno l'occhiolino tanti signori del centrosinistra?

Si dice assai poco di concreto, al di là delle buona impostazione di principio, sugli interventi di alfatbetizzazione degli alunni stranieri e sull'integrazione dei diversamente abili, e sull'organico specializzato da destinare ad essi.

Non si dice NULLA riguardo ai SOLDI da investire nella Scuola. Non una percentuale del PIL, come si fa in tutti i paesi d'Europa, il cui operato viene sbandierato ai quattro venti, ma solo quando fa comodo.

Si parla di estensione del Tempo Pieno: saranno accontentate tutte le richieste delle famiglie?

Non si dice nulla a proposito di obbligatorietà dell'ultimo anno della scuola dell'infanzia, si parla solo genericamente di generalizzazione.

Beh, mi sembra che di buoni motivi per chiedere conto all'Unione della sua mancanza di chiarezza, ce ne siano abbastanza.

Ci auguriamo che davvero, come si ripropone di fare nel documento, l'Unione vorrà aprirsi al dialogo con la scuola. Ma vorremmo che fosse un confronto reale, non fittizio o pilotato; vorremmo che la nostra volontà di partecipazione democratica non fosse accolta con stizza e fastidio, e confusa con sterile polemica. Non si può pretendere, dopo gli ultimi 10 anni, che si firmino cambiali in bianco sulla scuola, nemmeno per la smania di mandare a casa i nostri attuali governanti.

Il fine giustificherà anche i mezzi, ma questi mezzi non ci fanno dormire sonni tranquilli, altrimenti non avremmo in tanti sentito il bisogno di avanzare una proposta di legge, grazie alla quale ci auguriamo innanzitutto che si traduca in realtà quell'ampio coinvolgimento del mondo della scuola, che tanti, anche nell'Unione, sembrano auspicare.

Roberta Roberti
insegnante scuola superiore - genitore La scuola siamo noi -
Coordinamento Scuole Parma Comitato promotore Buona Scuola Parma 1