L'Isae
stima l'attuazione della riforma:
nuovi oneri a carico di regioni, province e comuni.
La devolution a scuola costa 44 mld.
Per
insegnanti e Ata possibili regole e salari regionalizzati.
da ItaliaOggi del
28/3/2006
Due belle, corpose finanziarie. Tanto costa la devoluzione della
scuola. Il passaggio delle funzioni in materia di gestione della
macchina amministrativa dell'istruzione dallo stato alle regioni è il
più oneroso della p.a.: comporterebbe il trasferimento agli enti
locali di una spesa complessiva aggiuntiva di circa 44 miliardi di
euro, quasi due manovre finanziarie (l'ultima è stata di 26,7 mld). Ma
non solo. Con l'attuazione del federalismo potrebbe infatti cambiare,
regione per regione, anche il contratto di docenti e personale
ausiliario, tecnico e amministrativo. Con una fetta di stipendio
variabile a seconda dei maggiori impegni, dei risultati raggiunti e
dei titoli di studio acquisiti. A stimare gli effetti della devolution
è l'Isae, l'Istituto di studi e analisi economica, che nel rapporto
2006 ha tentato di delineare gli scenari di un federalismo già
attuato. Ipotizzando la piena attuazione dell'articolo 117 della
Costituzione, e prendendo a riferimento la spesa pubblica del 2004,
l'istituto ha stimato un maggior onere per regioni, province e comuni
che arriva a 70 miliardi di euro. Il capitolo più sostanzioso del
trasferimento è quello che riguarda la scuola, che da sola conta oltre
1 milione di dipendenti pubblici, su un totale di 3 milioni. Secondo
il dettato costituzionale, infatti, circa il 98% della spesa per
l'istruzione ricadrebbe sulle spalle delle amministrazioni locali,
secondo un sistema già applicato (seppur con una diversa struttura) in
paesi come Belgio, Germania, Spagna, Svizzera, Finlandia, Regno Unito,
Danimarca, Norvegia, Repubblica Ceca e Polonia. Insomma, in 12 paesi
europei su 19.
La riforma costituzionale approvata a novembre 2005, e che sarà
oggetto di referendum confermativo, assegna allo stato italiano la
competenza legislativa in materia di ´norme generali sull'istruzione',
a garanzia dell'unità del sistema e nell'intento di evitare un
aggravarsi delle distanze di parte del territorio dagli standard
europei. Alle regioni va invece la competenza concorrente in materia
di istruzione, con le quote regionali di programma, ed esclusiva in
materia di formazione professionale. E poi sempre alle regioni la
competenza esclusiva in quanto a: organizzazione scolastica, gestione
degli istituti scolastici e di formazione. Il tutto, nel rispetto
dell'autonomia delle scuole, che dalla Costituzione riceve espressa
previsione e tutela. Complessivamente, una volta attuato a 360 gradi,
il pacchetto del federalismo scolastico potrebbe costare alle
autonomie locali 44 miliardi di euro in più. Il nodo più delicato è
rappresentato, dice l'Isae, dalla gestione del rapporto di lavoro dei
dipendenti. L'attuale contratto collettivo nazionale rischia insomma
di essere compresso ´tra una potestà legislativa statuale e una
rafforzata normativa delle regioni e degli altri enti locali'. E se
dovesse prevalere l'interpretazione che vuole che la gestione del
personale rientri a pieno nella competenza esclusiva delle regioni in
materia di organizzazione scolastica, sarebbe inevitabile un sistema
contrattuale diverso per ogni regione. Per capirne la portata, può
essere utile guardare a quanto fatto nelle province autonome di Trento
e Bolzano, dove esiste una contrattazione collettiva provinciale
seppure controllata.
Le
province hanno in questo caso previsto una differenziazione salariale
per i docenti: retribuzioni ad hoc per maggiori ore di lezioni, per
evitare la mobilità professionale, per premiare i migliori risultati o
il conseguimento di nuovi titoli di studio. La differenza, è il caso
di Bolzano, può pesare tanto: fino al 30% (per la scuola primaria) e
46% (per la secondaria) in più del salario di un docente statale. Ma
molto ovviamente dipende dalla realtà territoriale. E da quanto questa
sia capace di investire risorse in istruzione