Un uomo come Asor Rosa professor Alberto,
73 anni, storico, cattedratico di Letteratura italiana alla Sapienza,
coordinatore della Camera di consultazione permanente della sinistra....

S’io fossi ministro . . . «. . . dovrei . . .»

di Francesco Battistini da Il Corriere della Sera del 4/5/2006

 

S’io fossi ministro... «... dovrei descrivere la natura dei mal di pancia che mi hanno preso».

Emozione?

«No, è che la proposta di fare il ministro va in controtendenza esistenziale. In questa fase della mia vita, mi diverto a scrivere».

Si diverte? Professore, non sarà un altro libro sui gatti, tipo quello dedicato al suo Micio Nero? O come quella cosa che fece con Claudio Baglioni?

«No, no, questa è una cosetta più impegnativa: la Nuova storia della letteratura italiana ».

E le è arrivata questa telefonata...

«Dieci giorni fa. Diliberto mi ha contattato e mi ha chiesto se ero disponibile a un’indicazione di questa natura. Ho detto di sì».

Nonostante la controtendenza esistenziale...

«Nonostante la controtendenza. Il Pdci ha consegnato una rosa di nomi al premier».

Che cosa le faranno fare?

«Tocca a Prodi scegliere».

Mica le daranno le Pari opportunità...

«Perché lo esclude in linea di principio? Un uomo non può?».

Non può un uomo come Asor Rosa professor Alberto, 73 anni, storico, cattedratico di Letteratura italiana alla Sapienza, coordinatore della Camera di consultazione permanente della sinistra. Un cognome palindromico, che leggi uguale da destra e da sinistra. Un nome paludato, che eleggi bene solo a sinistra. Un nome che i Comunisti italiani vorrebbero su mezza poltrona della Moratti: ministro per l’Università e la Ricerca scientifica. Ci sta studiando da un po’: «Ha letto il mio ultimo articolo, "Questa università malata", pubblicato con malaugurato ritardo il 21 aprile?».

Veramente no...

«Lì c’è scritto quel che farei. L’università, oltre a essere un centro di formazione, è il centro di ricerca più importante. Ma negli ultimi due decenni questo secondo aspetto è stato trascurato. L’idea base è invertire questa tendenza: aumentare investimenti, redistribuire finanziamenti. Ci sono facoltà e corsi di studio, dalla moda al turismo, dallo sport al turismo, dal mercato culturale alla tv, che servono solo da specchietti delle allodole per gli studenti. Il mercato è la parola magica dell’attuale situazione d’incertezza e di sfascio: chi più vende la propria merce, più ha valore. Invece all’università si può vendere, ma solo fino a un certo punto. E non come priorità. L’università deve ristabilire una corretta gerarchia di valori. S’investirà dove c’è ricerca vera e non fasulla». Addio ai corsi di moda stile Alberoni? Basta con le lauree honoris causa a Valentino Rossi? Asor Rosa allude, non cita. E se fa un nome, è a sorpresa: «Il mio modello di ministro è senza dubbio Antonio Ruberti».

Ruberti? Ma non era un ministro di Craxi...

«Non siamo mica trinariciuti! Sì, come politico poteva dispiacermi, era un craxiano con la tessera. Tuttavia era un uomo di grande autonomia intellettuale. Un grande ministro. Fu mio rettore alla Sapienza, un rettore molto importante nella storia della più grande università italiana. Fu lui a creare il ministero della Ricerca. E fu un grave errore della sinistra spianare quella riforma, riaccorpando Ricerca e Pubblica istruzione: due mondi difficilmente compatibili».

La Moratti, invece...

«Un disastro. Non aveva neanche gli elementi base di conoscenza. Non sa nulla. Non ha risolto i problemi dello status giuridico dei ricercatori, né i problemi del reclutamento, né i problemi della ricerca avanzata. Non ha affrontato come si deve l’applicazione della riforma Berlinguer. È una bella gara, stabilire dove ha fallito di più».
Dei ministri di centrodestra, salva qualcuno?

«Perché dice centrodestra? Quello si chiamava governo Berlusconi. Ed essere stati in un governo Berlusconi è una qualifica di per sé».

Naturalmente, avrà nel mirino la bestia nera d’ogni sinistra universitaria che si rispetti: i baroni.

«L’università è vecchiotta, va ringiovanita. E poi è chiaro: se uno non ha voglia di toccare interessi consolidati, è meglio stia a casa».

Viene dalla Sapienza, ha appena laureato honoris causa Dario Fo...

«Un risarcimento per l’innegabile sottovalutazione che questo Premio Nobel s’è trovato a sopportare in patria. Anche stavolta, abbiamo dovuto affrontare molta ostilità del corpo accademico».

È uno dei pochi italiani da esportazione?

«Non ce ne sono molti. È come la fuga dei cervelli: il problema non è richiamare questo o quello, ma ricreare le condizioni perché gli Stati Uniti o la Gran Bretagna non se li piglino. Punto primo: premiarli e pagarli di più. Perché i professori universitari sono pagati malissimo».

Ma se, da ministro ateo e comunista, si dovesse trovare un crocefisso nelle aule?

«Nelle università non c’è mai stato. Non vedo perché dovrebbe starci. Le università però sono autonome. E se a Bologna qualcuno decidesse di appenderlo, nessuno potrebbe dire nulla. Nemmeno io».