Istruzione in crisi, servono messaggi chiari per gli insegnanti e le famiglie.

Saperi forti fino a 16 anni.

Basta con le pratiche ambigue della formazione.

 di Benedetto Vertecchi  da ItaliaOggi del 9/5/2006

 

Non è impegno da poco assumere, nelle condizioni attuali, la responsabilità del sistema scolastico italiano. Occorre promuovere, con rapidità, iniziative capaci di riavviare un sistema che in questi anni ha manifestato un disagio profondo, posto di fronte a intenti incerti e confusi, a innovazioni improvvisate e alla richiesta di adempimenti contraddittori. Gli insegnanti non sanno più a che santo votarsi, frastornati dai cascami di una modernizzazione che ha assunto a modello di riferimento l'organizzazione aziendale. Le famiglie sono frastornate da una confusione negli ordinamenti che le spinge, a scopo difensivo, a dirottare sui licei le scelte per l'istruzione secondaria. Il pubblico si interroga sul senso di una proposta culturale, quella centrata sulla triade inglese-internet-impresa, che fa assurgere temi contingenti ad asse di riferimento per l'istruzione, senza alcun tentativo di interpretare il senso delle trasformazioni in atto nella società e nella conoscenza e le conseguenze che da tali trasformazioni derivano per la popolazione.

Occorre uscire da questa confusione effettuando scelte che costituiscano la premessa per la ricostruzione di un rapporto di fiducia tra il sistema scolastico e il pubblico. Gli insegnanti debbono ritrovare la serenità necessaria per svolgere al meglio il loro compito delicato e le famiglie debbono percepire che il corredo di competenze che i figli acquisiscono nella scuola costituisce la premessa per la definizione di un profilo culturale che sosterrà il successivo corso della vita, accogliendo i nuovi apporti, sostituendo e aggiornando le competenze già possedute, consentendo di assumere un ruolo attivo nei processi di adattamento che nelle condizioni che verranno determinandosi appariranno necessari. Dai risultati delle ricerche comparative internazionali emerge un quadro assai poco esaltante della capacità del nostro sistema scolastico di fornire agli allievi il corredo di competenze di base (linguistiche, matematiche e scientifiche) necessario per continuare ad apprendere in età adulta. Senza perdersi in questioni di ingegneria istituzionale occorre quindi porre le condizioni per rafforzare le competenze di base. Ciò comporta che sia assicurato a tutti un consistente periodo di istruzione generale.

 

Più obbligo

La prima proposta consiste perciò nel varare subito una legge che porti a 16 anni (e, nel volgere di lustro, a 18 anni) il termine per l'istruzione obbligatoria. Deve essere chiaro che l'obbligo riguarda l'istruzione e non quelle pratiche ambigue che si è soliti designare come formazione: capire un testo, acquisire consuetudine con modelli di razionalità matematica o esplorare la natura non sono attività equivalenti al tirocinio che si può svolgere come barbiere, praticante di cucina o apprendista artigiano. Una legge sull'obbligo risolverebbe positivamente una diatriba che altrimenti rischia di diventare nominalistica, quella se abrogare o meno la riforma dei cicli varata nella passata legislatura. Dal momento che il punto nodale di quella riforma era la separazione precoce della popolazione fra una parte avviata a un'istruzione scolastica lunga e una indirizzata, già a 13 anni, alla formazione professionale, stabilire il termine dell'obbligo a 16-18 anni equivale a neutralizzare il disegno culturalmente e socialmente retrogrado della scelta effettuata.

 

Il ruolo dei docenti

La seconda proposta consiste nella rivalutazione della funzione docente. Gli interventi di questi ultimi anni hanno mortificato l'immagine di chi opera nella scuola, imponendo adempimenti che neanche i proponenti riuscivano a definire nella loro effettiva portata. Frustrazione e sottrazione di responsabilità sono state le conseguenze di una gestione verticistica e burocratica che ha ridotto l'autonomia delle scuole alla gestione di una manciata di spiccioli. Occorre ridare ai docenti sicurezza circa le condizioni del loro lavoro e valorizzare, promovendone la diffusione, le soluzioni più interessanti. La professione degli insegnanti deve essere ridisegnata, a partire da studi universitari culturalmente solidi e da un tirocinio iniziale, da svolgersi nelle scuole con l'assistenza di docenti esperti, al termine del quale si conseguirebbe l'abilitazione.
 

la ricerca educativa

Infine, ed è questa la terza proposta, c'è bisogno di elaborare ed avviare un programma per la ricerca educativa. Il sistema scolastico non può fare a meno di disporre degli elementi conoscitivi necessari per assumere le decisioni più opportune.

La ricerca deve fornire dati sul funzionamento della scuola, elaborare modelli dello sviluppo possibile, mettere a disposizione metodologie opportune e strumenti di analisi, sperimentare nuove soluzioni per esigenze specifiche, assicurare la continuità fra la cultura educativa italiana e quella internazionale. Questi compiti potrebbero essere svolti da un istituto nazionale per la ricerca educativa, al quale dovrebbe essere riconosciuta la più ampia autonomia.

* ordinario di pedagogia sperimentale presso l'università Roma Tre,
ex presidente dell'Istituto nazionale di valutazione del sistema dell'istruzione.