'Poveri' giovani di oggi.

Società. Tra precarietà e vera e propria povertà, la gioventù italiana sembra faticare nel trovare consapevolezza e mezzi per costruirsi un futuro.

  Massimo Eleuteri, da Aprile On Line.info del 16/5/2006

 

Molti giovani hanno difficoltà economiche, non riescono a trovare un posto nella società e arrancano alla ricerca di valori che li guidino verso l’avvenire. Può sembrare una frase apocalittica, o almeno esagerata, eppure in queste parole è insito un fondo (bello corposo) di verità. Si stenta a credere che un problema tanto grave possa passare quasi inosservato nella nostra società, eppure è così. Sarà perché gli effetti di questa crisi saranno evidenti solamente a lungo termine, quando avremo tutta una generazione di adulti precari o di anziani senza una pensione decente; oppure perché i nostri giovani sono bravi a mascherare questa povertà (non solo economica) di cui probabilmente non sono essi stessi consapevoli. Sta di fatto che urge un’attenzione quanto mai profonda nei loro confronti, una politica di sostegno che li aiuti a mettersi in carreggiata e li indirizzi verso una forma mentis adatta a decidere autonomamente la propria strada e quella del nostro Paese.

La povertà giovanile è una realtà, ed è molto più vicina di quanto pensiamo, stando a quanto rilevato dal Rapporto sulle politiche contro la povertà e l'esclusione sociale 2004 voluto dal Governo e messo in evidenza da Giuseppe Pelizzi, direttore della rivista mensile “Dimensioni Nuove”. Sono un milione e mezzo i ragazzi sotto i 18 anni a vivere in famiglie “indigenti”, 600 mila quelli tra i 18 e i 24 anni. E la ragione di tutto ciò solo in parte va ricercata nelle nuove tipologie di contratto atipico.

E’ vero, il precariato è un problema molto grave che va affrontato in maniera decisa perché impedisce ai giovani di fare programmi per l’avvenire e quindi di gettare le basi della propria vita futura. Ed è questo sostanzialmente l’ostacolo che va rimosso per garantire ai giovani in cerca di un primo impiego un’ingresso stabile nel mondo del lavoro. Ma qui si arriva addirittura al ritrovarsi in strada come clochard.

Numeri così alti però meravigliano, perché normalmente non abbiamo consapevolezza di questo fenomeno, semplicemente non ce ne accorgiamo. E’ qui, in questa difficoltà di inquadrare un problema tanto sfuggente quanto capillare, che nasce il pericolo di trascurare una realtà molto pericolosa. Pelizza invece riesce a cogliere nel segno quando rileva la natura bifacciale del problema della povertà: i giovani possiedono due cellulari e abiti alla moda firmati; eppure quegli stessi giovani hanno famiglie povere e non possiedono i mezzi per rendersi autonomi e tantomeno per migliorare la propria condizione. Ecco svelato l’arcano: non riusciamo a renderci conto della loro reale condizione perché loro stessi non ne hanno chiara coscienza, e la “cultura distorta” che li ha cresciuti li rende “incapaci di gestire il denaro”, inabili ad adottare una prospettiva rivolta al futuro perché “psicologicamente fragili”. Ecco spiegati i “consumi giovani elevati”.

La soluzione? Per quanto riguarda il precariato, bisogna far ricongiungere quelli che sembrano essere diventati due canali paralleli del mercato del lavoro: quello primario del lavoro stabile a tempo indeterminato e quello secondario dei contratti atipici. E’ sicuramente vero che sono state poste le basi per assunzioni a condizioni semplificate, però queste stesse condizioni mettono il lavoratore in una posizione incerta. Questa incertezza non solo si riverbera sulle loro aspettative per il futuro, ma ha ripercussioni anche sulla sostenibilità a lungo termine: cosa succederà quando i giovani precari di oggi arriveranno all’età di pensionamento senza aver accumulato i contributi sufficienti per una pensione minima? Serve un inserimento graduale che garantisca però più diritti di quelli riconosciuti oggi.

Per quanto riguarda invece l’incapacità dei giovani di stabilire le adeguate priorità e di gestire il denaro in maniera congrua, secondo Pelizza andrebbero messe in atto politiche sociali volte all’educazione in questo senso e iniziative tese ad incentivare uno stile di vita più sobrio, “più giusto”. Basteranno? Mmm… In una società come la nostra, imbavagliata e presa in ostaggio dall’idolatria dell’apparenza e dal gusto per l’effimero, serve ben più che uno sforzo pedagogico per ottenere gli effetti sperati. I valori ci vengono quasi imposti da un sistema dei media e della politica che a volte sembrano proprio perdere di vista quelli che devono essere principi incontrovertibili del vivere in società: responsabilità, collaborazione, dignità.

Quel che è certo è comunque l’estrema necessità di combattere queste nuove forme di povertà con tutti i mezzi possibili, perché “il futuro è dei giovani ed è una sfida fondamentale quella di garantire loro un vero benessere”.