La presenza di alunni extracomunitari rinnova la necessità di pluralismo. La nuova sfida della laicità. Più che i contenuti, valgono i metodi dei docenti di Clotilde Pontecorvo, da ItaliaOggi del 23/5/2006
La distinzione tra laicità del sistema di istruzione e del processo formativo esprime la doppia faccia istituzionale/formativa in cui si articola il nesso tra laicità e scuola. La laicità delle istituzioni formative italiane è stata spesso discussa, sia per i cambiamenti all'insegnamento della religione cattolica (d'ora in poi Irc) introdotti dal nuovo Concordato con la Chiesa del 1984, sia per le necessità interculturali, apportate dalla forte presenza di allievi extracomunitari (in grande maggioranza di religione islamica, ma anche di altre culture) nelle nostre scuole. Di qui le ricorrenti polemiche sulla presenza di simboli cattolici nelle classi e sulla regolamentazione dell'ora alternativa. Garantire la piena realizzazione della laicità delle istituzioni formative è un cammino, non difficile da un punto di vista teorico, ma sempre ostacolato sul piano politico da forti spinte clericali. In Italia il tema cruciale è dato dalla presenza dell'Irc, prima in modo obbligatorio, accompagnato dal solo regime di esonero previsto dal Concordato del 1929, e che solo a partire dal 1984, con il regime della facoltatività, è stato definito nei termini dell'alternativa tra ´l'avvalersi o il non avvalersi'. Solo allora si è posto il problema delle attività alternative all'Irc, per gli studenti non cattolici, insieme con la necessità di escludere simboli religiosi, dalle scuole come dagli altri luoghi pubblici, e di non effettuare atti di culto nei momenti scolastici rivolti a tutti gli allievi.
Per una educazione laica La laicità delle istituzioni educative garantisce un'istruzione aperta a tutte le possibili opzioni, sulla base della condivisione dei comuni valori (europei) della dignità, libertà, eguaglianza, rispetto per le minoranze, solidarietà. Norberto Bobbio (1985) precisa che nella scuola si deve esigere una laicità come esercizio dello spirito critico nei limiti della sola ragione, perché all'interno di quella particolare istituzione che è la scuola i due soggetti del rapporto educativo, gli insegnanti e gli allievi, non devono essere costretti ad abbracciare una credenza, una dottrina filosofica, un'ideologia, ma hanno il diritto-dovere di dare e rispettivamente di ricevere diverse opinioni, diverse filosofie, diversi punti di vista. Questo è un valore per tutti, come dice Magdi Allam (2005) che ha sostenuto il forte valore educativo dei nostri principi costituzionali e della conseguente formazione alla libertà di pensiero, che va garantita a tutti i giovani del nostro paese, e in particolare ai giovani islamici; riferendosi anche a se stesso, dice che la spinta a venire in Europa è spesso anche sete di libertà. Un processo educativo può essere definito laico se tale ne è il metodo: infatti, non è legato a dei contenuti specifici (anche se è rilevante che tutti possano gustare Omero, Dante o Shakespeare, studiare Platone e Galileo, interpretare la Bibbia); è una delicata questione metodologica, che è poi croce e delizia di tutta l'istruzione dalla scuola dell'infanzia all'università. Garantire una equivalenza di contesti educativi per tutti è problematico perché è complessa l'impostazione di un processo di formazione che garantisca effettivamente a tutti, inclusi i bambini non autoctoni, una reale libertà di pensiero e di scelta. Un nodo al riguardo è dato anche dal ruolo che si attribuisce alle famiglie nel forgiare le identità culturali dei loro figli: io ritengo, in linea con la dichiarazione dei diritti dei bambini e dei ragazzi, che siano invece questi ultimi i portatori primari del pieno diritto all'istruzione. E lo sono tutti, anche quelli che risiedono in Italia all'interno di famiglie extracomunitarie. Il problema non è che a tutti siano garantiti gli essenziali diritti di libertà di pensiero, di espressione, di religione, di stampa, di cittadinanza. Ma il problema è come possiamo fare in modo che tutti divengano capaci di esercitare questi diritti di libertà, che comportano sempre comunque la garanzia di eguali diritti agli altri, vicini o diversi.
Costruire la propria soggettività L'assunto di partenza è come possa l'istruzione formare alla libertà di scelta, non solo come fine ultimo per un qualsiasi adulto, ma anche come stato intermedio che riguarda sempre tutti i soggetti dell'educazione. Il problema educativo è come si forma in tutti la capacità di esercitare una piena libertà di pensiero e di scelta. Il principio è che si educa alla libertà attraverso la libertà, cioè senza l'esercizio dell'autorità e soprattutto della forza da parte dell'adulto, che qualche rara volta può imporsi con le parole, ma mai con le mani. Non c'è bisogno di ricordare le fonti storiche e attuali di una scienza dell'educazione, che vuole (da Dewey a Montessori, da Vygotskij-Piaget a Bruner) che l'allievo sia formato alla libertà attraverso la libertà, all'interno di un sistema di regole democratiche e di riconoscimento dei diritti di libertà a tutti. Nel procedere dell'istruzione, le regole possono/debbono essere elaborate dall'interno e praticate come diritti di cittadinanza anche nella scuola. Touraine (2002) definisce la scuola pubblica laica perché ricerca l'eterogeneità e la diversità più che l'unità comunitaria. Il dilemma si pone in rapporto al consolidarsi di una società pluralistica in cui prosperano diverse opzioni individuali. In altri termini, se vogliamo che tutti leggano l'Amleto, dobbiamo anche accettare che questa lettura sia diversa per ciascuno degli studenti, in funzione della propria cultura di appartenenza oltre che della propria personalità individuale. Ritengo che questo si debba tradurre, dal punto di vista dell'insegnamento, in una didattica del rispetto, cioè nel riconoscimento del modo soggettivo di essere del discente, per aiutarlo a passare da una identità di appartenenza (quale gli è consegnata dalla famiglia e dalla comunità) a una identità di integrazione (Bleger, 1992), in cui ciascuno riesce a essere se stesso con il supporto delle esperienze pregresse, ma anche con il dialogo con gli altri e con i contenuti di insegnamento. Mantovani (2004) ci ricorda come le culture siano l'insieme delle pratiche di costruzione del significato all'interno di sistemi sociali, che sono ormai sistemi porosi, spazi di scambio, sistemi di risorse per la mediazione, narrazioni di volta in volta condivise o contestate dalle stesse persone che ne fanno parte; non più realtà omogenee, perché, in un contesto globalizzato, le attribuzioni di cultura e di comunità non possono essere ridotte a un solo fattore. E forse questo è il dilemma con cui ci dovremmo confrontare nei prossimi anni: accettando, laicamente, che, optando per un metodo orientato alla costruzione di identità di integrazione, si accettino i diversi modi in cui i valori universali si possono declinare in scelte personali che sfociano in opzioni culturali, anche religiose, diverse. Il valore nuovo è dato dal confronto con il diverso in un contesto comune, con la presenza di altri punti di vista, con cui si può stabilire un dialogo costruttivo e creativo .
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