Oltre un terzo dei tremila corsi di laurea hanno
accessi programmati:
una scelta in linea con l'Europa, ma per gli studenti...
Gli atenei "serrano" i cancelli
è corsa al numero chiuso.
Massimiliano Papasso, la Repubblica del
17 luglio 2006
Riuscire a frequentare un corso di laurea
in un'università italiana tra qualche anno potrebbe diventare
un'impresa per pochi studenti. Tutta colpa del cosiddetto "numero
programmato", ovvero il limite massimo alle nuove iscrizioni che la
maggior parte degli atenei sta predisponendo per garantire efficienza
e qualità alla propria offerta didattica.
Una scelta, quella di porre uno sbarramento all'immissione di nuove
matricole introdotta dal Ministero dell'Università con una legge del
1999, che ormai sta contagiando quasi tutte le università italiane
visto che negli ultimi cinque anni i corsi che prevedevano una test
selettivo prima dell'iscrizione - secondo quanto riportato dall'ultimo
numero del mensile de Il Corriere dell'Università e del Lavoro - sono
cresciuti del 330%, passando dai 242 del 2001 ai 1060 del 2006. Una
crescita a dir poco esponenziale che se da un lato mette in evidenza
come l'università italiana stia cercando di mettersi alla pari con il
resto d'Europa, dall'altro potrebbe mettere in seria discussione uno
dei pilastri del diritto allo studio sancito dalla nostra
Costituzione: quello del libero accesso al sapere.
I numeri.
Secondo le statistiche fornite dal Ministero dell'Università, lo
scorso anno su un totale di 3100 corsi di laurea in tutte le
università italiane, quelli a numero programmato hanno toccato quota
1060. Di questi ben 578 riguardavano corsi di laurea di primo livello.
La consistenza del fenomeno si evince anche da altri numeri: solo nel
biennio che va dal 2004 al 2006 i corsi di laurea triennali a numero
programmato a livello locale (escluse quelle in Architettura, Scienze
della Formazione, Veterinaria, Medicina e Chirurgia, Odontoiatria e
Professioni Sanitarie per le quali è lo stesso Ministero con un
decreto ad individuare ogni anno il numero massimo di matricole)
sarebbero passati da 352 a 578 con un aumento rispetto a due anni
prima del 64%.
Una scelta obbligata.
Se fino a qualche tempo fa quello di mettere un tetto alle iscrizioni
era una caratteristica quasi esclusiva degli istituti più prestigiosi,
oggi chiudere le porte dei propri corsi per molti atenei è diventata
una scelta obbligata. Da qualche anno infatti tutte le università
devono fare i conti con il rompicapo dei "requisiti minimi", che
impongono ad ogni ateneo il rispetto di precisi standard di qualità in
base al rapporto tra il numero dei docenti e quello degli studenti, la
disponibilità delle aule, l'adeguatezza dei laboratori ed altro
ancora. Tutte variabili che in sede di valutazione andranno a pesare
come macigni sulla ripartizione dei fondi ministeriali. In poche
parole chi non rispetta i criteri di qualità rischia l'esclusione
dalla torta dei finanziamenti statali.
Più corsi che docenti.
Un rischio che gli atenei non possono permettersi di correre, visto
soprattutto il particolare momento di transizione che il mondo
accademico italiano sta vivendo, tra riforme contestate, degenerazioni
del '3 2' e diminuzione dei fondi ordinari. "Quella di dover limitare
le iscrizioni - spiega Davide Bassi, rettore dell'Università di Trento
- almeno per quel che ci riguarda è stata una scelta di buon senso.
Non possiamo prendere in giro i nostri studenti promettendo quello che
non poi non possiamo offrire. Dopo l'entrata in vigore del '3 2' molti
atenei hanno pensato solo a fare cassa, moltiplicando i corsi di
studi. Adesso è arrivato il momento di mettere un freno a questa
tendenza perché le finanze delle università sono ormai ridotte
all'osso. E il numero programmato è la sola risposta a questo
problema".
In effetti una conferma sul fatto che molti atenei si siano fatti
prendere un po' la mano arriva anche dall'Istat, che nel suo ultimo
rapporto ha registrato un aumento nelle università dei corsi attivati
del 55% al fronte di una crescita del corpo docente del solo 21%.
Rispetto agli anni precedenti c'è stata una riduzione del numero medio
di docenti per corso (dal 24 a 17%) e un corrispondente calo del
rapporto tra studenti e docenti (da 32,3 a 31,2%).
Atenei a porte chiuse.
E allora se fondi non ce ne sono e l'unico modo per restare nel
recinto dei requisiti minimi è quello di limitare le iscrizioni, è
fantascienza prevedere che il numero programmato diventi presto la
regola tanto da mettere in discussione il libero accesso
all'istruzione universitaria? A vedere quanto già accade in molti
atenei sembra proprio di no. Nell'ultimo anno accademico in 60 su 77
università c'era almeno un corso a numero programmato. Si va dai 41 di
Cosenza ai 33 dell'Università di Palermo, ai 26 di Padova e i 21 di
Cagliari.
Particolare è poi il caso di Roma Tre che ha introdotto un tetto
massimo alle iscrizioni per tutti i suoi corsi di laurea. "E' ormai
molto tempo che abbiamo optato per questa scelta - dice Guido Fabiani,
rettore della terza università romana - perché vogliamo garantire ai
nostri studenti una certa vivibilità all'interno dell'ateneo. La
nostra università in questo momento può sostenere al massimo 8500
nuove matricole al fronte di 5-6mila studenti laureati l'anno. Solo
una programmazione delle iscrizioni ci permette di raggiungere un
certo equilibrio e al tempo stesso di rispettare i requisiti minimi.
Il rischio che molti studenti non possano avere più libero accesso
all'Università? Noi non abbiamo mai avuto problemi di questo genere
proprio perché di solito riusciamo ad accogliere quasi tutte le
domande di iscrizione. Certo però che il problema esiste e per
affrontarlo serviranno politiche mirate, magari coinvolgendo tutti gli
atenei di una stessa regione per riuscire a governare al meglio le
iscrizioni e non respingere nessuno studente".
Quelli che non programmano.
Ma se la tendenza generale è quella di limitare l'accesso ai corsi di
laurea più frequentati, in vista del nuovo anno accademico c'è anche
chi ha deciso di soprassedere e continuare con la politica del "meglio
affollati che a numero chiuso". E' il caso, tra i tanti, del corso in
Scienze e tecniche psicologiche dell'Università di Chieti e Pescara
dove lo scorso anno si sono iscritte 1343 matricole, mentre secondo i
parametri dettati dal Comitato di Valutazione del Sistema
Universitario il numero massimo di iscritti al primo anno non doveva
superare le 300 unità. A Parma per il corso di laurea in Lettere per
selezionare le future matricole, invece del tradizionale test a
risposta multipla, i vertici della facoltà dopo un attento studio
della situazione hanno optato per l'adozione di nuova regola: i 250
posti disponibili saranno assegnati esclusivamente in base alla data
di iscrizione. Come a dire, chi prima arriva meglio studia.