Cosa resta della disapplicazione? di Girio Marabini da Pavone Risorse del 21/7/2006
Fare politica scolastica dovrebbe essere uno dei compiti preminenti dello Stato, in quanto si tratta di creare le basi di una società in divenire, attraverso l’educazione dei giovani. In questi anni , anche se faticosamente, è cresciuta la coscienza, a seguito degli errori compiuti, che la riforma di un settore fondamentale come quello scolastico, debba essere una riforma condivisa: il risultato, cioè, della collaborazione delle culture e anche del compromesso, al quale ogni parte politica, ogni componente interessata possa dare il proprio contributo. Far cadere una riforma con dei “cacciaviti” (che brutto termine usato per l’educazione!), senza avere il coraggio politico di proporre valide soluzioni alternative, con mezzi quale il contratto tra due parti, non va sicuramente in tale direzione. Anche perché le leggi dovrebbero essere garanzia per tutti, non solo per la parte pubblica e per le rappresentanze sindacali. Avrei sicuramente preferito che, in assoluta trasparenza e dignità morale, il nuovo Governo avesse dichiarato la propria intenzione di avviare una nuova riforma (in 5 anni è venuta meno la fede e la convinzione sui “nuovi saperi” e sulla riforma dei cicli di Berlinguer? Dobbiamo, dunque, intendere che ha avuto ragione la Moratti ad abrogarla senza aspettare un giorno di più?). Ma veniamo ad una delle questioni affrontate in modo chiaro e preciso da S. Stefanel nel suo ultimo intervento: il contratto può di fatto abrogare disposizioni di legge? Penso proprio di no. Infatti, se guardiamo bene i termini del contratto si deve piuttosto parlare di non applicazione per via contrattuale di alcune disposizioni riguardanti il personale. “Disapplicare” infatti non è abrogare, per cui è logico pensare che le funzioni previste possano comunque essere svolte all’interno dell’equipe pedagogica, al di là della figura professionale del tutor. Se questo non fosse vero, di fatto si procurerebbe un grave danno agli alunni : non sono forse funzioni fondamentali l’orientamento, il coordinamento delle attività educative e didattiche, di cura delle relazioni con le famiglie e di cura della documentazione del percorso formativo compiuto dall’allievo? E non è questione di lana caprina! Infatti chi potrebbe opporsi (e con quali argomentazioni?) a che una equipe pedagogica affidi un incarico di coordinamento ad un proprio componente per lo svolgimento di tali funzioni, che, comunque, sono state sempre svolte a prescindere dalla legge Moratti? Poniamo il caso, poi, che una scuola nella propria autonomia decidesse di utilizzare comunque la figura del docente prevalente (tutor?) prevista dalle precedenti norme, per far fronte ad esempio a classi difficili o a casi di disagio particolare di alcuni alunni, chi potrebbe opporsi? E allora la questione è un po’ come diceva quel Papa: "Io faccio le leggi e comando, i cardinali disubbidiscono, e il popolo… fa come gli pare…" Il buon senso del “popolo della scuola” prevarrà… A margine di questo breve intervento vorrei far osservare : ma il contratto prevedendo la disapplicazione in particolare dell’art.7 comma 5 “disapplica” anche la seguente introduzione di tale comma ? “L’organizzazione delle attività educative e didattiche rientra nell’autonomia e nella responsabilità delle istituzione scolastiche, fermo restando che il perseguimento delle finalità di cui all’art.5, assicurato dalla personalizzazione dei piani di studio , è affidato ai docenti responsabili delle attività educative e didattiche , previste dai medesimi piani di studio.” Se anche tale parte del comma 5 è disapplicata, chi dovrebbe perseguire le finalità di cui all’art.5? |