Quasi la totalità degli studenti è interessata
all'apprendimento elettronico
Più scettici, invece, i professori. Ma su tutti incombe il problema
finanziamenti
Se il computer si trasforma in un prof
due atenei su tre offrono corsi online.
Inoltre, 35 atenei su 52 offrono corsi
interamente in lingua inglese
la Repubblica del
5 giugno 2006
ROMA - Fare lezione su internet con professori
virtuali? Non stiamo parlando dell'università del futuro, ma di quella
attuale: l'"e-learning", così si chiama l'apprendimento telematico a
distanza, è infatti presente in due università su tre, con un aumento
esponenziale a partire dal 2002. Piace molto agli studenti (90,2%) e
un po' meno ai docenti (21,1%) ed è destinato a diventare un
"attributo immancabile dell'intera offerta formativa dell'istruzione
superiore". Lo rivela una ricerca della Crui, la Conferenza dei
Rettori delle Università Italiane, che ha preso in considerazione il
caso di Italia, Finlandia e Francia.
Paesi a confronto.
Dalla ricerca emerge che lo sviluppo dell'e-learning, cioè l'utilizzo
degli strumenti delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione
nel mondo dell'istruzione, è frenato dalla mancanza di fondi e dalla
diffidenza del corpo docente. Problemi, quelli legati ai
finanziamenti, che segnano la differenza con gli altri due paesi
europei, anche se bisogna tener presente che da sola la "Sapienza" di
Roma ha un numero di iscritti di poco inferiore a tutti gli studenti
delle 21 università finlandesi.
"Fra i tre Paesi a confronto - si legge nella ricerca - appare
evidente una differente sensibilità politica delle istituzioni
governative nei confronti delle politiche di finanziamento dell'e-learning
in ambito universitario. Infatti, in Francia e Finlandia il sistema di
istruzione terziaria beneficia di stanziamenti pubblici espressamente
destinati alla promozione dell'e-learning nelle università,
contrariamente a quanto avviene in Italia, dove il ministero
dell'Istruzione non ha, finora, previsto fondi da destinare agli
atenei per questo specifico scopo".
La situazione italiana.
Secondo l'indagine, il 64% degli atenei italiani interpellati ha
affermato di avere una "politica per l'e-learning", presupposto
fondamentale "per sviluppare un approccio in materia condotto a
livello unitario e non più relegato alle singole esperienze
intra-ateneo". Il che porta a un "coordinamento generale volto alla
razionalizzazione delle attività degli atenei". Negli ultimi anni,
prosegue la ricerca, si è avuto un "rapido diffondersi delle
esperienze di coordinamento delle attività di e-learning", che hanno
segnato un forte incremento della presa di coscienza del mondo
universitario nei confornti delle nuove opportunità di sviluppo della
didattica.
Questa tendenza, che solo a partire dal 2000 ha preso forma in modo
consistente, "presenta una netta accelerazione tra gli anni 2002 e
2004, durante i quali il numero di università che hanno inaugurato
l'avvio di una politica di ateneo per l'e-learning si è accresciuto
quasi del 100%". Certo, non dobbiamo dimenticare che il nostro Paese
corre "a due velocità": la maggior parte degli atenei più dinamici
sotto il profilo dell'e-learning si trovano al Nord (con il Nordest
all'84,6% e il Nordovest al 72,7%), mentre appaiono più attardate su
questo fronte le università del Centro (50%) e del Sud (52,9%).
I problemi.
Considerando i "costi non indifferenti" dell'implementazione del
sistema, uno dei problemi principali è quello della inadeguatezza
delle risorse finanziarie, che incide per il 47,2% del campione. Al
primo posto, però, figura l'accettazione culturale, che interessa il
66,7% dei casi. Indagando, inoltre, sui timori che più frequentemente
preoccupano la parte scettica del personale accademico, emerge in
particolare una lettura critica concentrata sui rischi di un
potenziale ribaltamento di ruoli tra pedagogia e tecnologia. La
tecnologia "che andrebbe correttamente concepita al servizio della
prima, rischia, negli scenari dipinti dai più diffidenti, di
sopravanzare con i propri imperativi le teorie dell'apprendimento, che
si vedrebbero pericolosamente collocate in posizione subalterna, con
conseguenti ricadute di impoverimento qualitativo dell'offerta
formativa".
In Italia, si legge ancora nella ricerca, il processo di diffusione
dell'e-learning è avvenuto in assenza di significativi interventi
normativi e di supporto finanziario. Le università che hanno
sviluppato questo tipo di esperienze hanno autonomamente scelto di
destinare parte del budget a tali attività.
La diffusione dell'Inglese.
E intanto sempre dalle ricerche della Crui emerge che 35 atenei
italiani offrono agli studenti corsi totalmente in lingua inglese: in
testa i master, seguono poi i dottorati di ricerca e i corsi di
secondo ciclo. Dei 52 atenei che hanno aderito all'offerta (che
rappresentano il 67,5% del totale nazionale), 17 non erogano corsi in
Inglese (ma è possibile che, in futuro, organizzino una parte della
didattica in questo senso), 35 offrono almeno un corso interamente in
Inglese (7 di primo ciclo, 11 di secondo ciclo, 19 di dottorato, 21
master, 18 summer-winter school).