Troppo tempo sprecato per tentare nuove riforme, va cambiato il metodo.

L'autonomia, chiave di volta.

Sistema nazionale leggero, più peso alle scuole

Italo Fiorin, ItaliaOggi del 6/6/2006

 

Dalla metà degli anni 90, da quando l'allora ministro dell'istruzione, Luigi Berlinguer, dava l'avvio a un complesso disegno di riforma dell'intero sistema scolastico italiano, la nostra scuola è un cantiere aperto. Sono passati dieci anni, si sono succeduti diversi ministri, sono state varate e cancellate riforme importanti, ma la grande opera non è compiuta.
Ora, dopo il cambio di legislatura, di governo, di ministro, ci si interroga sul futuro.


Per quanto il cambiamento sia stressante e comprensibile il desiderio di stabilità, probabilmente questa attesa è destinata a rimanere disattesa. Come scrive il poeta Salah Stétié, viviamo in un'epoca nella quale l'unico punto certo è il punto interrogativo e l'incertezza è la sola stabilità su cui possiamo contare. Tutti i sistemi scolastici sono stati messi in crisi dall'impatto con le grandi e rapide trasformazioni che segnano il travagliato ingresso nella post-modernità e non riescono a far fronte alle nuove richieste di formazione, incapaci come sono di rispondere in tempo reale a richieste che, in tempo reale, cambiano continuamente.

Sono noti i grandi orientamenti che i rapporti internazionali (dal Libro Bianco del 1995 al Protocollo di Lisbona del 2000) hanno individuato per dare alle riforme dei sistemi scolastici obiettivi perseguibili e significativi nel nuovo contesto. In termini estremamente sintetici, potremmo dire che la direzione indicata è quella della scuola dell'apprendimento, perché, in un mondo dove tutto vorticosamente cambia, diventa indispensabile saper continuamente apprendere cose nuove. Apprendere ad apprendere appare come la principale competenza da acquisire.

Da qui una prima considerazione. Più che chiedere la chiusura del cantiere, va posto il problema di modificare il modo di fare le riforme. Quello perseguito finora è anacronistico: si impegna troppo tempo per realizzare nuove regole e, quando finalmente si arriva a portare a termine il processo, queste sono già inservibili. Serve un nuovo modello culturale: le riforme non vanno pensate come qualcosa di solido e rifinito a regola d'arte, atto a governare per un lungo periodo un sistema, riforme fatte per essere applicate, ma vanno mantenute leggere, aperte, linee guida da interpretare più che precetti da osservare.


Dall'autonomia dichiarata all'autonomia praticata

È urgente passare dalla cultura dell'adempimento a quella dell'autonomia, e questo comporta, per il ministero, un modo nuovo di essere centro e, per la scuola, un modo nuovo di essere dirigenti, insegnanti, comunità professionale ed educativa.

Naturalmente il costo è quello dell'incertezza sostenibile; il guadagno è quello dell'autonomia culturale e professionale. La priorità strategica dovrebbe consistere nel rimettere in moto un processo che, già timido ai suoi inizi, ha dovuto sopportare una lunga gelata invernale. Riaccendere i motori dell'autonomia appare l'impegno prioritario ed è partendo da qui che si afferma la più profonda discontinuità con la recente politica scolastica. Sarebbe, infatti, improponibile la vecchia logica di un ministero che dispone, di un apparato che esegue, di una scuola che applica. L'esperienza del quinquennio appena concluso ha dimostrato nei fatti tutti i limiti di una concezione illuministica e centralistica, lontana dai valori della partecipazione, del confronto, della responsabilizzazione, del pluralismo degli apporti che si sviluppano all'interno di contesti culturali e sociali differenziati. Chi compara le indicazioni di oggi con i programmi nazionali del passato finisce per rimpiangere quei programmi.

Ci aspettiamo che il rinnovato ministero rinunci alla pedagogia di stato di chi lo ha preceduto.


Al centro quello che è del centro, alle scuole quello che è delle scuole

Perché sia possibile mettere le scuole nelle condizioni di sviluppare la loro autonomia educativa e didattica, senza che si passi dal centralismo burocratico allo spontaneismo anarchico, vanno definite con precisione le competenze del centro, che rimangono fondamentali.

Al centro spetta la definizione degli obiettivi relativi alle competenze ritenute indispensabili e la specificazione dei relativi standard e livelli di accettabilità; spetta, inoltre, l'attivazione di un sistema di verifica del loro raggiungimento. Questo duplice compito disegna i vincoli e lo spazio di agibilità delle scuole. È evidente che se gli obiettivi fissati sono troppo numerosi e minuti, l'autonomia delle scuole si restringe fino a scomparire e il sistema di valutazione rischia di soffocare la libertà delle scuole, mortificando scelte autonome, legate a contesti territoriali differenziati. Il quinquennio concluso non ha saputo affrontare questi problemi e siamo ancora molto lontani dal disporre di un istituto nazionale di valutazione all'altezza delle attese.

Alla comunità scolastica spetta l'elaborazione del Piano dell'offerta formativa (Pof), che la vigente normativa definisce ´lo strumento fondamentale della scuola dell'autonomia'. La sua elaborazione è azione complessa, nella quale diversi soggetti sono chiamati a interagire e a condividere una visione pedagogica e un progetto da realizzare, tenendo in grande attenzione le esigenze della realtà sociale e culturale della quale la scuola è, insieme, espressione e fattore di miglioramento. Prima di personalizzare piani di studio, secondo una concezione individualistica del rapporto docente-alunno, la scuola è chiamata a personalizzare il proprio curricolo, attraverso un lavoro di riflessione, identificazione di obiettivi, assunzione di responsabilità, che è sociale e condiviso. In questo modo la scuola si realizza come comunità, e non come impresa, e mette al centro le persone, e non i ruoli.


La scuola autonoma in un sistema di autonomie

Le istituzioni scolastiche non si relazionano solo con il centro ministeriale, ma sono collocate in un più ampio sistema di autonomie, che comprende soggetti istituzionali e culturali con i quali interagire. In particolare è destinato a diventare sempre più importante il rapporto con gli enti locali e con la regione, ed è ancora tutto da capire come evolverà il sistema scolastico in prospettiva federalista (c'è un referendum alle porte). In ogni caso sembra irreversibile il processo che porta al superamento del monocentrismo piramidale e va nella direzione di un sistema policentrico, nel quale intervengono numerosi soggetti. Una scuola autoriferita non può essere all'altezza di un compito che richiede capacità di confronto, dialogo, cooperazione e che si sviluppa produttivamente in una dimensione di interdipendenza positiva.

Ha ragione E. Morin, quando afferma che la vera riforma della scuola non è quella degli ordinamenti, ma del pensiero. Cambiare paradigma culturale, il nostro paradigma, non è facile nemmeno in presenza di una svolta negli orientamenti delle politiche scolastiche e un cambio di guida. Nonostante tutto, non è dipeso solo dal ministro della passata legislatura il fatto che molti, pur con l'autonomia in vigore, non hanno saputo resistere alle pressioni centralistiche e sostenere un'interlocuzione matura e responsabile, ma hanno detto ´obbedisco' anche là dove non erano tenuti a farlo, dimenticando che l'obbedienza non è sempre una virtù. E non basterà un cambiamento al vertice, fosse anche il migliore auspicabile, perché dall'autonomia della norma si passi all'autonomia come convinzione profonda e stile di comportamento.

L'autonomia è la sfida più difficile: accettarla e mettersi in gioco è una responsabilità che non si può delegare a nessuno.

 

* professore associato presso la facoltà di scienza della formazione dell'università Lums a Roma.