La proposta del provveditore di Como accende il dibattito tra i presidi italiani
La maggioranza dei dirigenti scolastici resta favorevole ai quadri pubblici

Scuola, battaglia sui tabelloni dei voti

"Non affiggeteli, è uno stress inutile".

 Il provveditore di Como ha proposto di sostituire i quadri con colloqui individuali

Teresa Monestiroli, la Repubblica del 10 giugno 2006

 

MILANO - La scuola discute, e si divide, sui tabelloni di fine anno. Umiliazione pubblica o presa di responsabilità? Il caso innescato dalla proposta del provveditore di Como, Benedetto Scaglione, di sostituire i tabelloni di fine anno con colloqui individuali fa riflettere educatori e docenti. "Troviamo un metodo più umano - aveva detto il provveditore, contrario alla derisione a cui sono sottoposti i ragazzi di fronte alla fotografia del loro rendimento scolastico -, che tenga conto della fragilità dei giovani di oggi. In una società competitiva come la nostra ogni bocciatura è considerata un fallimento. Rendere pubblici i voti non serve a nulla, se non aumentare la frustrazione".

A preoccupare Scaglione non è solo la privacy, ma il continuo confronto che gli studenti fanno fra loro. "Un paragone che, se non è accompagnato da una corretta spiegazione, rischia di ferire i più deboli".

Il suo è solo un suggerimento - la normativa obbliga le scuole ad esporre i voti -, rivolto a chi le leggi le scrive, di archiviare una volta per tutte quell'appuntamento da brivido che gli studenti aspettano con ansia e trepidazione. Un'idea accolta con stupore dalla maggior parte dei presidi.

"Frustrazione? - si domandano in tanti -. La scuola è già fin troppo protettiva verso i ragazzi. Eliminare anche il rito conclusivo non li abitua ad affrontare le difficoltà della vita". "Le classifiche fanno parte del gioco - spiega Fulvio Scaparro, psicologo -. Dal momento che i risultati non sono più una sorpresa, è giusto che gli studenti possano fare dei confronti. Anche questo serve per la loro formazione".

Per il dirigente del liceo Tasso di Roma la proposta è assolutamente fallimentare: "Così i ragazzi non cresceranno mai più - commenta Achille Acciavatti -. Le valutazioni finali mettono gli studenti di fronte alle loro responsabilità". "Tenere gli studenti sotto una campana di vetro significa non prepararli alle delusioni - gli fa eco il preside del liceo Berchet di Milano, Innocente Pessina -. Invece di eliminare gli ostacoli, insegniamo loro a superarli".

Anche per il numero uno del Vittorio Veneto di Milano, Michele D'Elia, a risentirne sarebbero soprattutto i giovani: "Togliere i voti danneggia prima di tutto gli studenti. La scuola è diventata troppo facile e i ragazzi si sono indeboliti". E ancora, Bruno Cicchetti, del liceo Fermi di Genova: "È una proposta un po' retrò in una scuola che ha una altissima percentuale di promossi e dove non esistono più gli esami di riparazione".

Alcuni presidi suggeriscono addirittura di tornare al vecchio metodo, con le insufficienze ben in vista (oggi si nascondono dietro un sei con asterisco): le lettere a casa - per avvisare della bocciatura - e la censura dei voti sono solo una modo per "indorare la pillola a giovani che vivono nella bambagia".

"Ma che bambagia - sbotta lo psicologo Gustavo Pietropolli Charmet, contrario alla pubblicazione dei quadri -. La bocciatura è un castigo micidiale, di fronte al quale un professore non può disertare scaricando la responsabilità al bidello che attacca i tabelloni alle bacheche. Al contrario i colloqui sarebbero una corretta presa di responsabilità. Il castigo della bocciatura è un rituale importante in cui i docenti tirano fuori tutto il loro potere occulto. Spiegare ai ragazzi perché dovranno ripetere l'anno non è un comportamento protettivo, anzi, può essere molto faticoso". Il problema è che spesso, spiega Charmet, i giovani non capiscono il motivo della valutazioni. "E non hanno nessuno con cui prendersela - aggiunge Fabio Sbattella, professore di psicologia all'università Cattolica -. Davanti ai quadri i ragazzi si deridono a vicenda e spesso finiscono per virare verso atteggiamenti illeciti come la droga per superare la frustrazione".

"Discutere con i ragazzi è sempre un bene - prosegue la preside Mariagrazia Meneghetti del liceo Beccaria di Milano -. Non sempre, anche quando i voti sono buoni, loro comprendono i nostri giudizi". Ma solleva un ulteriore questione: "Come si fa incontrare tutti in una scuola con 1200 studenti? L'idea è interessante, ma difficilmente applicabile".