Tempo di scrutini.
Pasquale Almirante, da
DocentINclasse, 10/6/2006
Tempo di scrutini, questo tempo a scuola; e
mentre nella primaria si scrivono i pensierini, comunemente chiamati
giudizi, alla secondaria si danno ancora i numeri, più comunemente
chiamati voti. Più difficile l’estensione dei primi perché si deve
giustificare il profitto con parole, usando parafrasi, allegorie,
metaforici deittici e inventando magari altre cattivanti e fantasiose
figure retoriche; più abbordabile invece il numero arabo che è frutto
di una media per lo più scaturita dai voti scritti e da quelli orali
conquistati dall’alunno durante i due quadrimestri: due più due fa
quattro diviso due.
Tuttavia molto spesso capita pure che la media aritmetica salti, nel
senso che, all’atto della trascrizione nel registrino della sintesi
numerica per stilare la pagella, vengono in mente al prof. di colpo le
defezioni e le abulie, le ingiurie della sorte e le colpevoli mancanze
della scuola per cui si tende: o a infierire o a elargire. Mancanza di
professionalità? Ma no, solo sfiducia mista a stanchezza, condita con
un pizzico di recuperata fierezza o riscoperta mitezza.
Giudicare è sempre difficile mentre si teme il giudizio altrui; non fu
detto: chi giudica sarà giudicato? Si immagini allora da quante
persone è stato giudicato un docente con 35 anni di servizio che ha
avuto a che fare con 5 classi di 30 alunni per anno, lui che tutte
queste persone ha giudicato, lui che alla fine della sua carriera si
ritrova ad essere sul banco degli imputati uno contro tutti. Forse
anche da questi frullati di giudizi nasce, sia la sindrome del
Burn-out e sia quel fastidioso ronzio all’orecchio che accompagna la
vita di tanti insegnanti.
Sta di fatto che proprio in questi giorni in tutte le scuole della
nazione è iniziato lo spoglio dei numeri e ogni consiglio di classe si
trasforma in una sorta di seggio elettorale. Ad ogni nome, chiamato
dal dirigente (quando c’è e intende presiedere gli scrutini)
corrisponde una serie di cifre che vanno da uno a dieci e a ogni nome
si può o meno accendere la discussione a seconda della media
complessiva. Aggiungere qualche voto in più può infatti favorire, sia
l’esonero delle tasse, sia la promozione e sia la benevola soma di
qualche sparuto debito da recuperare a settembre. Togliere è
altrettanto semplice soprattutto per respingere l’alunno e pure per
togliersi qualche sfizio, compensando le angherie di un intero anno di
mutismi e neghittosità, strafottenze e balordaggini. E in questa fase
può pure succedere che la pagella risulti una sorta di blasfema
schedina in cui i sei sono rari come le chiese di campagna mentre le
insufficienze papareggiano come funghi in fungaia.
Per taluni insegnanti è pure il momento questo della sottile vendetta
servita fredda, anzi gelata e appallottolata come la minestra del
giorno prima: fioriscono uno e due, qualche tre fa timidamente
capolino mentre scompaiono, coperti dal gelo dei compiti scritti,
altre più gradite primule come il quattro e il cinque. In molte
scuole, grazie all’informatica, ci si è pure tolti la croce della
trascrizione, che durava qualche ora, dei voti in pagella, nei
registroni e nel cartellone da esporre all’albo. In tempo reale il
cd-rom, dove tutti i voti sono stati riportati, stampa in cartaceo i
risultati e qualche minuto dopo il dado è tratto: potenza della
tecnica, direbbe Martoglio.
Ma questo è pure il tempo della riscoperta improvvisa di dimenticate e
vecchie amicizie e pure di parentele. Talvolta occorre pure qualche
buona mezzora per ricordarsi e ritessere il passato, massimo quando in
gioco ci sono non già i risultati degli scrutini di fine anno ma gli
esami di stato. E non già la promozione o meno, ma il voto finale,
visto che al quinto anno per lo più un sessanta su cento non si
rifiuta a nessuno come il saldo di fine stagione. E allora tocca
all’onesto insegnante recuperare tutte le sue sopite arti della
retorica pindarica per mascherare, sviare, simulare, eludere, sperando
che dall’altro capo del telefono si intenda e a buon intenditor molte
ma molte parole.