Un libro organizza i racconti in prima persona degli
insegnanti e diventa "La scuola? Non è più di moda ma noi restiamo il vostro futuro". di Vera Schiavazzi, da la Repubblica del 9/1/2006
La scuola è italiana è viva, fatta di persone appassionate, che ogni mattina ci ritornano col solo desiderio di fare il loro mestiere: insegnare. Ma è anche avviluppata in una crisi di identità che appare la più grave dell'ultimo secolo, una crisi di senso e di valori prima ancora che di regole e di riforme sbagliate: se la cultura e la conoscenza non sono più al primo posto tra le aspirazioni degli italiani, abbondantemente sostituite dal denaro e da altri criteri di successo, non è difficile capire quale sia lo stato d'animo di un maestro o di un professore che (ancora) vuole insegnare ai suoi allievi i versi di Petrarca. È la storia raccontata, in una prima parte di saggio a due mani e in una seconda di testimonianze pubblicate integralmente, in un libro appena uscito per Einaudi, "La mia scuola", di Domenico Chiesa e Cristina Trucco Zagrebelsky (177 pagine, 14,50 euro). "Ci siamo resi conto - spiegano gli autori - che di scuola si parla molto: lo fanno i politici e gli esperti. Ma agli insegnanti manca un luogo nel quale far sentire la propria voce. Lo fanno con le lettere ai giornali. In realtà però nessuno si sogna di consultarli quando si tratta di cambiare o di riflettere sul futuro, ed è un grave errore, perché loro i problemi li conoscono davvero". Il risultato è la fotografia di un'Italia che non crede più, o crede solo in parte, nell'importanza dell'istruzione, fin da quando, a tre anni, si cerca di insegnare ai piccoli le regole minime della convivenza. Ma anche di un sistema dove migliaia di persone sono ancora impegnate per trasmettere, giorno dopo giorno, il proprio sapere. Non a caso, sono stati insegnanti anche i due autori di questo libro: Chiesa è professore di filosofia in un liceo scientifico e presidente del Cidi (il Centro di iniziativa democratica degli insegnanti), Trucco Zagrebelsky ha insegnato materie giuridiche e ora lavora nell'editoria scolastica. Attraverso il tam tam e i siti, i due hanno raccolto 250 storie di scuola vissuta, dalle materne alle superiori, scegliendo poi di pubblicarne integralmente 23 e di utilizzare stralci delle altre. Qualche esempio? "È vero, siamo sottopagati, condannati al precariato, incerti sul nostro destino anche quando si conquista il fatidico 'ruolo'. Ma sappiamo benissimo che nella visione del mondo di fuori noi siamo quelli che lavorano solo la mattina, che hanno tre mesi di vacanza, che pesano sulle casse dello Stato senza essere produttivi", scrive Antonio Ferrero. Carmen Cyrano ha usato nel suo testo gli sms: "In segno di fiducia nei primi giorni di scuola ho dato ai miei studenti il mio numero di cellulare... È arrivato di tutto, dal 'non ci faccia fare la verifica domani, la preghiamo' a 'Prof scusi x oggi mi è venuto un attimo di nervoso mi scusi ancora buon appetito ciao simo' (...) E, dopo un cambio di scuola, 'in classe ci sono ancora dei problemi. Torna'". Valentina Chinnici, insegnante in una scuola "difficile" di Palermo, racconta: "Quando alcuni dei miei alunni hanno scoppi di aggressività particolarmente violenta mi domando perché non ho mai studiato psicologia (...) L'ultima volta C. era una furia scatenata, tra i singhiozzi e le grida non riusciva neanche a respirare. A un tratto l'illuminazione: C. ha un solo grande amore, il Palermo in serie A. Gli ho detto che lui era il mio Toni, il mio attaccante e io il suo allenatore, è rientrato in classe". E Maria Grazia Calcagno: "Fino a dieci anni fa o poco meno, quando raccontavo dell'infelicità cosmica di Leopardi o del dissidio petrarchesco, potevo leggere nelle teste dei mie allievi frasi come 'non avevano certo problemi di soldi'. Nella scuola tecnica le mie materie erano forse poco amate ma accettate come inevitabili. 'Saper parlare è importante - ammettevano le madri - non come noi che abbiamo solo la terza media'. Ora è cambiato tutto. E la promozione sociale non passa più attraverso la scuola". E la famiglia? La risposta è nelle prime righe del capitolo uno, quando a tirare le fila sono i due curatori: "Pesa molto sul fare scuola, e per lo più negativamente. Famiglie distratte, lassiste, protettive. Famiglie che hanno rinunciato al loro ruolo educativo nei confronti dei figli. O che si sono ridotte a semplice fonte di sostentamento, trasformandosi nel caso peggiore in un bancomat domestico: il primo cellulare, il secondo cellulare, il motorino, la moto, l'automobile, la festa di compleanno tipo banchetto nuziale...". "Questo libro - spiega Cristina Trucco Zagrebelsky - non dà risposte ma pone problemi dei quali sarebbe bene discutere, se è vero che la scuola rappresenta l'assunzione di responsabilità del mondo adulto verso i giovani. Cultura ed intelligenza dovrebbero restare, o tornare ad essere, gli ingredienti principali dell'insegnamento. Invece, gli insegnanti non si sentono coinvolti dal cambiamento e spesso percepiscono addirittura ostilità. Ci sono grandi interrogativi finora senza risposta, come quello che riguarda i bambini e i ragazzi immigrati: se sono un valore per la scuola, e molti insegnanti confermano questo, allora occorre investire su di loro e su chi deve accoglierli". Ma non c'è pessimismo: "Abbiamo incontrato un'enorme vitalità - concludono Chiesa e Trucco -. La scuola italiana ha problemi enormi, ma è fatta di persone vive e consapevoli". |