Studio sul mondo dell'istruzione del
Mezzogiorno. Mancanza di lavoro e rinuncia all'università i problemi
più gravi. Più iscritti nei licei ma molti lasciano
Sud, tra iscrizioni e abbandoni
"Scuola debole, lavoro lontano".
Tullia Fabiani,la Repubblica del
10/1/2006
Il liceo "Margherita di Savoia" a Napoli Pochi
progressi, molti ritardi e uno sviluppo ancora tutto da creare. La
scuola nel Mezzogiorno se la passa così: aumenta il tasso di scolarità
alle superiori (gli iscritti passano dal 63,5 all'89,7 per cento negli
ultimi dieci anni), ma non diminuisce il numero degli studenti che
abbandonano lo studio prima di arrivare alla maturità. E la differenza
con il centro-nord resta consistente. A fare il punto sui percorsi
formativi nel sud d'Italia, sul divario territoriale esistente, sugli
sbocchi occupazionali dei giovani meridionali - diplomati e laureati -
e sul crescente fenomeno della fuga di "capitale umano" è uno studio
dell'Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno (Svimez).
Dopo aver raccolto e aggiornato numerosi dati sul mondo della scuola -
in particolare quelli prodotti dall'Istat e dal Ministero
dell'Istruzione - tre ricercatori dello Svimez, Luca Bianchi, Sandro
Gattei e Sergio Zoppi, hanno realizzato un'ampia analisi, intitolata
"La scuola nel Mezzogiorno tra progressi e ritardi" (tra qualche
giorno disponibile in libreria per le edizioni Il Mulino), i cui
risultati oggi vanno letti "non solo nell'ottica della riforma Moratti,
che si rivela controproducente proprio nelle aree più deboli - come
afferma Luca Bianchi - ma anche in previsione di nuove, necessarie,
politiche governative".
La scolarizzazione nel Mezzogiorno.
Su questo tema sembra che qualche passo avanti, molto importante, sia
stato fatto. Almeno per quel che riguarda la scuola dell'obbligo.
Secondo l'analisi, sia al nord che al sud, nella scuola primaria, la
partecipazione è totale e tutti coloro che conseguono la licenza media
si iscrivono poi alla scuola secondaria superiore. Un netto
miglioramento rispetto agli inizi degli anni '90, quando il tasso di
iscritti si limitava all'83% degli studenti meridionali e all'88% di
quelli settentrionali. E di conseguenza un miglioramento anche del
tasso di scolarità nella scuola secondaria superiore: è salito,
specialmente nel Mezzogiorno, dove si è passati dal 63,5% del 1991
all'89,7% nel 2003 (dal 71,7% al 92,5% nel resto del Paese). Ma se c'è
di che rallegrarsi per il numero degli iscritti, non si può ignorare
poi che buona parte di questi ragazzi abbandona la scuola prima della
maturità.
Un'indagine del Ministero dell'Istruzione, (ripresa dai ricercatori
Svimez) rivela infatti che nel 2002 il 4,6% degli iscritti nel
Mezzogiorno continentale e il 7,1% nelle Isole non sono stati valutati
agli scrutini finali perché si sono ritirati dalla scuola. E lo stesso
problema, anche di minor portata è stato riscontrato al nord (4,4%) e
al centro (3,4%): sintomo di un disagio da parte degli studenti.
Eppure, se molti al sud abbandonano, altri manifestano molta voglia di
continuare a studiare: cresce perciò il numero degli iscritti ai corsi
di laurea breve (soprattutto dei gruppi medico e politico-sociale)
anche se il divario rispetto alle regioni settentrionali, in termini
di tassi di iscrizione (30,5% contro 41,2%), risulta ancora ampio.
"Nel Mezzogiorno c'è un sistema scolastico decisamente più debole -
commenta Bianchi - lo prova il fatto che degli studenti meridionali
iscritti al primo anno di scuola media, solo il 23% arriva alla laurea
o al diploma universitario. Al centro-nord sono il 44,7%".
Il confronto con altri Paesi europei.
La debolezza della scuola italiana si rivela di più, nell'analisi
Svimez, se messa a confronto con altri Paesi; non solo quelli
economicamente più avanzati, ma anche quelli caratterizzati da un
grado di sviluppo decisamente minore. Prendiamo alcuni paesi
dell'Europa centro-orientale, ad esempio: vantano livelli di
istruzione della popolazione assai più elevati di quelli italiani (che
si tratti del nord o del sud). Nel 2002 la popolazione in possesso
almeno di un diploma di scuola secondaria superiore è l'87,9% nella
Repubblica Ceca, l'86 % nella Repubblica Slovacca, l'81,6% in Polonia
e il 71,4% in Ungheria. Mentre in Italia la quota si ferma ad un
modesto 46,3%, (il 42,0% nel Mezzogiorno e il 51,4% nel Centro-Nord).
Se poi si considerano le persone in possesso di laurea, ci troviamo al
sud con l'11,1%: meno di un terzo della popolazione laureata del
Giappone (36,3%), degli Stati Uniti (38,1%) e della Svezia (32,5%).
Il lavoro che non arriva.
Allora ecco il cuore della questione. Dall'analisi dei dati Ocse e
Istat sul rapporto tra livello di istruzione e condizione lavorativa,
risulta che il rendimento dell'investimento formativo è in Italia più
basso che negli altri Paesi, a causa del ritardato ingresso dei
giovani sul mercato del lavoro. Con un picco negativo nel Mezzogiorno,
dove la transizione scuola-lavoro è più lunga, e più bassa è la
probabilità di trovare un impiego adeguato al titolo di studio
raggiunto. Ciò spiega perché sempre più studenti scelgano di studiare
"fuori sede" o di migrare appena finita la scuola o l'università.
Dall'indagine Svimez risulta infatti che su circa 50.000 laureati
meridionali, 20.000 a tre anni dalla laurea sono disoccupati e dei
30.000 che lavorano, un terzo lavora al nord. Mentre il 20% di quelli
che rimangono a lavorare al sud, giudica la laurea eccessiva rispetto
al lavoro che svolge. Dal 1998 al 2002 sono circa 75 mila i ragazzi,
tra i 20 e i 29 anni, ben istruiti che ogni anno hanno lasciato il
Mezzogiorno. "La migrazione è a senso unico - spiega Bianchi - e
l'effetto che produce è quello di impoverire ulteriormente il sud. Il
paradosso è che pur migliorando il livello di istruzione, da parte
delle imprese non c'è richiesta di figure qualificate. Le aziende
assumono - precisa il ricercatore -, ma il trend è positivo
soprattutto per le basse qualifiche professionali. E in tal caso non
basta migliorare il sistema scolastico se poi i ragazzi, proprio
perché istruiti, devono migrare".