Possibile optare anche per il part-time o per la permanenza

Rush finale per decidere la pensione.

ItaliaOggi del 3/1/2006

 


Giorni contati per decidere sulla pensione. Mancano sette giorni per cessare dal servizio, 12 per rientrarvi.

Il personale direttivo, docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario che intende cessare dal servizio con diritto a pensione dal 1° settembre 2006, quello che può chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale congiuntamente al trattamento pensionistico, i dirigenti scolastici e tutto il restante personale che, compiendo il 65esimo anno di età, chiedono di permanere in servizio per almeno un ulteriore biennio hanno, a partire da oggi, sette giorni di tempo per presentare la domanda. Stesso tempo per revocare una domanda eventualmente già presentata.

 

Il personale che è già in pensione ha, sempre a partire da oggi, 12 giorni di tempo per chiedere, invece, di essere riammesso in servizio.

Ecco i requisiti per entrambi i casi.

 

Dimissioni volontarie

Per avere diritto al trattamento pensionistico di anzianità dal 1° settembre occorre possedere alla data del 31 dicembre 2006 almeno 57 anni di età e 35 di contribuzione utile a pensione, ovvero, indipendentemente dall'età anagrafica, almeno 39 anni di contribuzione e presentare la domanda entro il 10 gennaio.

 

Trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale

Per poter chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, congiuntamente al trattamento pensionistico, con decorrenza 1° settembre, uomini e donne devono avere un'età compresa tra 57 e 64 anni e una contribuzione di almeno 35 anni. Anche in questo caso la domanda va presentata entro il 10 gennaio.

 

Permanenza in servizio oltre il 65esimo anno di età

I dirigenti scolastici e, comunque, tutto il personale della scuola che compiendo il 65esimo anno di età dovrebbero essere collocati a riposo d'ufficio (salvo che non sussistano le particolari situazioni previste dai commi 2 e 3 dell'articolo 508 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297) possono chiedere di permanere in servizio per un ulteriore biennio ai sensi della legge 23 ottobre 1992, n. 412, e del comma 5 del predetto articolo 508.

 

Riammissione in servizio

Entro il 15 gennaio, termine fissato dalla circolare ministeriale n. 194 del 20 luglio 1990, il personale scolastico cessato dal servizio per dimissioni volontarie, dispensato per motivi di salute o perché dichiarato decaduto per una delle cause previste dal decreto presidenziale n. 3/1957, e purché non abbia compiuto il 65esimo anno di età, può chiedere di essere riammesso in servizio. Si tratta di un istituto previsto dall'articolo 132 del suddetto decreto che per i docenti è espressamente richiamato dall'articolo 516 del decreto legislativo n. 297/1994 mentre per il personale Ata dall'articolo 142 del ccnl 24 luglio 2003. Per le caratteristiche dei singoli istituti e gli effetti sul trattamento pensionistico e sull'indennità di trattamento di fine servizio (buonuscita) si rinvia ai servizi pubblicati su ItaliaOggi di martedì 15, 22 e 29 novembre e di martedì 6 e 13 dicembre.

 

Quanti utilizzeranno gli istituti elencati

Difficile prevedere quanti saranno i dirigenti scolastici, i docenti e il personale educativo oltre a quello amministrativo, tecnico e ausiliario, che cesseranno effettivamente dal servizio a decorrere dal 1° settembre 2006.

Un sondaggio realizzato da ItaliaOggi rafforza l'impressione che nel 2006 ci potrebbe essere un nuovo boom. Il numero complessivo dei pensionamenti, compresi quelli per raggiunti limiti di età o per cause diverse, potrebbe essere infatti superiore a quello registrato per il 2005. Il totale dovrebbe attestarsi sulle 30 mila unità, di cui 500 dirigenti scolastici, 24 mila docenti e 5.500 personale ausiliario, tecnico e amministrativo.

 

Per i direttori generali 70 anni certi

Direttori generali al lavoro fino ai 70 anni senza nessun vincolo o autorizzazione. I dirigenti pubblici di prima fascia potranno, se lo vorranno, restare in servizio oltre l'età massima del pensionamento, 67 anni, e fino ai 70 anni, al di fuori dei tetti di assunzione autorizzati dal governo.

Il loro trattenimento in servizio non si configurerà infatti come nuova immissione in ruolo e non dovrà fare i conti con la disponibilità di posti vuoti in organico autorizzati a copertura. Lo prevede un articolo del decreto legge di fine anno recante ´Misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento della pubblica amministrazione', varato la scorsa settimana dal consiglio dei ministri. Il provvedimento (divenuto l'ennesimo decreto omnibus) dispone tra l'altro che ai dirigenti pubblici di prima fascia e alle figure equiparate non si debba più applicare il vincolo posto dalla Finanziaria 2005 per la permanenza in servizio oltre l'età massima. Questa, al comma 99 dell'articolo 1, prevede che i trattenimenti in servizio fino ai 70 anni siano equiparati a nuove assunzioni. E dunque le domande di permanenza possono essere accolte solo se autorizzate dal governo e comunque vanno scomputate dal contingente di immissioni in ruolo da fare. Con il dl i manager pubblici non dovranno più sottostare a questo vincolo. L'amministrazione avrà la facoltà di accogliere la domanda, se interessata, e sempre però che abbia fatto le riduzioni delle piante organiche previste dalla legge n. 311/2004 (pari al 5% della spesa per il personale). Questo vincolo è infatti rimasto.

 

Indennità vecchie fuori dalle ore in più

Senza indennità le ore eccedenti di lavoro ante 2003. Il ministero dell'istruzione oppone un netto rifiuto alla richiesta di computare anche la quota di indennità integrativa speciale nella retribuzione delle ore d'insegnamento eccedenti l'orario d'obbligo settimanale prestate dai docenti con contratto a tempo indeterminato prima del 1° gennaio 2003.

Ad avviso del ministero, solo a partire da quest'ultima data, e per effetto del conglobamento nello stipendio tabellare dell'indennità integrativa speciale previsto dall'articolo 76 del contratto collettivo del comparto scuola del 24 luglio 2003, la retribuzione delle ore eccedenti comprende anche la quota parte dell'indennità. Sono queste le conclusioni cui si perviene esaminando la nota del direttore generale del personale del ministero dell'istruzione datata 30 novembre 2005.

Il trattamento economico delle ore eccedenti prestate settimanalmente su cattedra superiore alle 18 ore e di quelle espletate per l'intero anno scolastico in classi collaterali fino a un massimo di sei ore settimanali (trattandosi in quest'ultimo caso di nomina conferita dal dirigente scolastico in mancanza di nomina da parte del Centro servizi amministrativi) non può, si legge nella nota ministeriale, che essere quello regolamentato dagli articoli 88, comma 4, del decreto del presidente della repubblica n. 417/74, 6 del dpr n. 209/1987 e 3, comma 10, del dpr n. 399/1988. Ne consegue che le ore eccedenti dovranno continuare a essere assoggettate alla disciplina retributiva prevista dalle predette norme (1/18 del trattamento economico fondamentale e, pertanto, con l'esclusione della quota di indennità integrativa speciale non ancora conglobata nello stipendio tabellare.

A supporto dell'esclusione della quota di indennità integrativa speciale nella retribuzione delle ore eccedenti, la nota ministeriale indicata in premessa cita la sentenza n. 281 del 21 aprile 2005 con cui la Corte di appello di L'Aquila ha accolto l'appello proposto dal ministero dell'istruzione avverso la sentenza del giudice del lavoro di Pescara che, viceversa, aveva riconosciuto il diritto dei ricorrenti a vedersi corrispondere anche la quota dell'indennità integrativa speciale. La nota direttoriale ignora, invece, sia il consolidato orientamento giurisprudenziale del Consiglio di stato sia quello di diversi giudici del lavoro tra i quali, ultimi in ordine di tempo, quelli della Corte di appello di Firenze che, sulla questione, hanno sentenziato in maniera diametralmente opposta (si veda ItaliaOggi di martedì scorso). Un contrasto giurisprudenziale che inevitabilmente favorirà nuovi ricorsi ai giudici del lavoro la cui competenza in materia è oggi esclusiva e anche al Consiglio di stato, limitatamente a tardive sentenze dei Tar.