Il mestiere dell'insegnante oggi.
di
Antonio Valentino, da
ScuolaOggi del
20/1/2006
E' un indice invitante quello dell'ultimo libro
di Piero Romei, Fare l'insegnante nella
scuola dell'autonomia, edito da
Carocci. Quattro capitoli che ripropongono le grandi tematiche del
dibattito culturale e professionale sul mondo della scuola dell'ultimo
quinquennio: dall'Autonomia, letta soprattutto in connessione con la
dimensione organizzativa delle scuole autonome, all'Azione collettiva,
vista come recupero di senso e valore della collegialità; dal Profilo
professionale, ridisegnato alla luce delle trasformazioni degli ultimi
anni, alla Valutazione, Formazione e Carriera come strumenti
fondamentali di gestione e valorizzazione del personale.
Tutti temi che appartengono a Romei, alla sua ventennale attività di
studioso, sempre curioso e attento, e di formatore e ricercatore dalle
"certezze sempre provvisorie e successive”. La maggior parte delle
tesi proposte nel libro non sono novità assolute per chi ha seguito
l’itinerario di ricerca di Romei. Nuovo è invece lo sforzo di dare
unitarietà e compiutezza alla sua proposta complessiva. Il cui valore
poggia soprattutto, a mio avviso, sulle preliminari
istruttorie alle
singole questioni che affronta, alle quali conferiscono attendibilità
e solidità argomentativa.
Stimolanti ed efficaci sono le riflessioni sull'autonomia scolastica
di cui individua i quattro pilastri nell'identità, propositività,
riconoscibilità e apertura istituzionale e che costituisce il grande
scenario di tutte le questioni trattate. Significative sono
soprattutto le riflessioni e le indicazioni che, dall'analisi della
collegialità (come luogo delle decisioni), approdano all'azione
collettiva. La quale, come opportunamente si chiarisce, comprende
certamente la collegialità, ma se ne diversifica in quanto "messa in
opera" e articolazione del corpo docente in "unità formalizzate e
coordinate da meccanismi procedurali appropriati e da un adeguato
sistema di ruoli".
Pur condividendo sostanzialmente l'impianto del libro, trovo alcune
tesi non sempre convincenti. Ne cito solo due (anche se
puntualizzazioni ci sarebbero a proposito delle RSU) che riguardano il
rapporto tra esiti formativi e azione didattica - vero e proprio
cavallo di battaglia di Romei; e la carriera e la formazione. La
prima. L'Autore fa bene a insistere sulle responsabilità dirette e
piene della scuola per quanto attiene il servizio e l'offerta
formativa ("i pacchetti formativi") e a distinguerli dagli esiti
formativi (in quanto risultato di sollecitazioni e input di altri
soggetti e fattori). Ma osservo che,
primo, è l'esperienza comune che
suggerisce una correlazione stretta (più che probabilistica) tra
qualità dell'azione didattica ed esiti formativi; e che, secondo,
l'enfasi sulla distinzione finisce col togliere valore al lavoro della
scuola e rischia di deresponsabilizzarla o di non riconoscerle meriti,
quando dovuti; e, inoltre, a togliere al risultato scolastico degli
studenti (l'esito formativo) quel valore di stimolo e di orientamento
fondamentale per migliorare l'azione didattica,
dell'insegnamento.
La seconda. Anche qui le preoccupazioni di partenza sono più che
condivisibili: riconoscere, attraverso crediti - che diano luogo a
sviluppi di carriera e di retribuzione - la qualità dell'impegno
professionale che si evidenzia con la qualità del "servizio" prestato.
Condivisibili appaiono pure le posizioni sul reclutamento del
personale, che non può essere affidato alle competenze del Dirigente
Scolastico; l’importanza attribuita alla valutazione dei docenti, a
quella del Dirigente Scolastico (in quanto soggetto in grado di
valutare più che altri la congruenza delle prestazioni rispetto al
"compito" della scuola). Quello che convince meno, invece, è il
percorso di carriera proposto: appaiono "eccessivi" e un po’
macchinosi i passaggi e i dispositivi individuati; e rischiano, per
come si presentano, di sortire effetti opposti a quelli che l'Autore
si prefigge.
A parte queste considerazioni il libro si raccomanda per le analisi
aggiornate che propone. A partire dagli approfondimenti sulla
formazione, vista e analizzata come strumento di politica scolastica e
leva di sviluppo sia organizzativo che professionale (legato alla
carriera), fino alla insistenza sul valore delle regole formali, in
quanto volte a incanalare comportamenti e prestazioni in senso
funzionale alle esigenze di ciascuna specifica organizzazione e a
riproporre sistematicamente la logica del “compito” per cui essa
esiste.
Ma l’elemento connettivo dell'intera trama concettuale del libro è il
forte senso della scuola come
istituzione pubblica che organizza la sua
offerta e il suo servizio consapevole del suo ruolo sociale. Appare
evidente in queste posizioni la polemica con quanti ritengono - e
legiferano - che la scuola è in funzione della domanda e dei bisogni
delle famiglie e del mondo esterno. Con ciò intendendo ovviamente che
domanda e bisogni non vanno disattesi o, men che meno, negati, ma
piuttosto letti e "rappresentati" - nell'offerta formativa - in
relazione al "compito" istituzionale.