PROVOCAZIONI «Cari professori, se sbagliano è colpa vostra». La nota riassume e interpreta i cambiamenti della scuola legiferati durante l’anno di Giuseppe Tesorio da Il Corriere della Sera del 9/1/2006
Nella precedente Lettera, Andreoli si era ampiamente occupato della famiglia e dei suoi doveri, della sua straordinaria potenzialità come della sua pericolosa debolezza. Stavolta si occupa della scuola, del luogo, cioè, dove si apprendono le regole della comunità, dove si impara a diventare adulti, non figli protetti e, dunque, soggetti per lo più passivi, ma membri di una classe, di un gruppo che, guidato dagli insegnanti si applica al difficile studio della vita. Mai stato prof, mai entrato in un’aula in veste di docente, si affretta a dichiarare l’autore, e tuttavia egli si permette di dar consigli agli insegnanti sulla base dei numerosi fallimenti esistenziali presi in esame. E tanto più ha senso questa seconda Lettera in quanto a una famiglia si possono, in effetti, offrire soltanto buoni suggerimenti, dei quali si sa che verranno per lo più seguiti in minima parte, mentre un’istituzione dovrebbe essere capace di darsi nuovi programmi e nuove regole. Non è, tuttavia, un’ennesima riforma scolastica ciò che Andreoli auspica, anche se, due dei punti che gli stanno più a cuore, in realtà comporterebbero proprio un ripensamento strutturale: e cioè l’eliminazione, in quanto inutile, di ogni tipo di esame tranne quello finale di maturità, nonché l’abolizione, in quanto perverse e controproducenti, delle bocciature. Di fronte a simili suggerimenti sembra già di sentire il coro delle proteste, contro il fatale avanzare di buonismo e lassismo, e contro una scuola troppo facile che non prepara alla dura competizione della vita. Eppure, la convinzione dell’autore che, per altro, tende a definirsi un conservatore «di ritorno», come lo può essere chi rivaluta comportamenti e principi un tempo forse troppo frettolosamente rifiutati e gettati via (come, per esempio, quei sensi di colpa che egli, onestamente, si rammarica di aver contribuito, nella sua veste di psicanalista, a combattere e a eliminare), è ferma: e anche condivisibile se si segue passo passo il suo ragionamento, secondo il quale si è costretti a concludere che esami e bocciature possono far bene solo ai forti, malissimo invece ai deboli. I quali, almeno oggi, paiono costituire la maggioranza. Per il resto, Andreoli, non si occupa tanto dell’istituzione scolastica e delle norme che la regolano, quanto di uno dei suoi principali attori, appunto l’insegnante. A lui parla, spiega, illustra e suggerisce. Soprattutto - e questo è perfettamente in linea con una scuola senza esami né bocciature - gli rammenta che il successo, per lui e per i suoi alunni, può essere soltanto di gruppo. Alcune poche eccellenze ammirate e coccolate in un panorama di generale ed evidenziato grigiore o fallimento stanno a indicare una grave sconfitta: per gli insegnanti esattamente come - sebbene con conseguenze più pesanti - per gli studenti. Del resto, anche di là dei risultati strettamente scolastici, è proprio l’assenza di gruppo e di lavoro comune che spinge i ragazzi a cercare altrove l’aggregazione che non trovano con i compagni di classe: e l’esperienza dice che raramente la seconda è migliore della prima. Il nemico da combattere, è, insomma, ancora una volta, il senso di solitudine che, se opprime un adulto, può portare alla disperazione un ragazzo. E chi sta in cattedra dovrebbe essere in grado di tenerne conto. |