Un'indagine del CNR rivela atteggiamenti,
problemi e storie
raccontati dagli insegnanti di elementari, medie e superiori
Straniero in classe, il problema c'è
e la scuola non è ancora pronta.
Urgenti i corsi di alfabetizzazione,
manca il mediatore culturale
Federica Forte,
la Repubblica del 14/2/2006
ROMA - L'immigrazione a scuola vista
dagli insegnanti. Gli atteggiamenti, i problemi, le perplessità, le
esperienze raccontate dalla voce dei protagonisti sono stati
analizzati dai ricercatori dell'Istituto di Scienze e Tecnologie della
Cognizione del CNR e raccolti in un libro, "Marek va a scuola". Il
risultato più evidente è la diffusa sensazione di disagio degli
educatori, che lamentano di essere stati lasciati troppo soli ad
affrontare l'ondata - ormai costante - degli studenti stranieri nelle
aule italiane. E chiedono interventi urgenti: l'attivazione di corsi
di alfabetizzazione e la presenza costante del mediatore culturale.
Lo studio, durato circa tre anni, ha portato alla luce l'evoluzione
quotidiana del mondo "globalizzato" all'interno del sistema "classe",
e soprattutto le esigenze dei docenti in una scuola italiana
impreparata di fronte ad una questione tanto complessa. Perchè
insegnare ad un alunno immigrato significa confrontarsi con la sua
cultura, i suoi simboli, la sua storia non certo facile, l'immersione
totale e repentina in un ambiente nuovo e differente. Senza
dimenticare che prima di tutto è un individuo. E che si dovrà
scontrare con una società non molto solidale e una scuola troppo
burocratizzata.
Gli psicologi del CNR hanno intervistato attraverso la tecnica del
focus group gli insegnanti di 10 scuole dell'Italia centrale (3
superiori, 5 medie, 2 elementari), un campione qualitativamente
rappresentativo della scuola italiana. Hanno stimolato la discussione
su diversi aspetti della questione, dal problema della diversità
culturale al rapporto con le famiglie dei ragazzi, fino ad individuare
possibili strategie di integrazione. Alle interviste collettive hanno
partecipato docenti scelti a caso, di volta in volta, per ottenere
risposte il più possibile diversificate.
"Non tutti i professori vivono la presenza dell'alunno immigrato nello
stesso modo: si va da quello entusiasta al curioso, fino al docente
che ignora il problema perchè considera lo straniero come uno studente
qualsiasi.", spiega la professoressa Camilla Pagani, responsabile
della ricerca insieme a Francesco Robustelli.
Molti sottovalutano l'importanza della distanza culturale, anche se la
classe ospita alunni rom, cinesi, o di religioni diverse come
musulmani ed ebrei. Ragazzi (e famiglie) sui quali pesa ancora un
pregiudizio culturale radicato, insieme ad una certa diffidenza. "Non
si tratta di diffidenza vera e propria", dice la Pagani, "è piuttosto
un sentimento di paura, dovuto molto probabilmente al momento storico
in cui viviamo, caratterizzato dalla minaccia del terrorismo." Paura
che si indirizza verso gli islamici: "Un'insegnante, ad esempio, ha
espresso il timore che i suoi ragazzi musulmani, in apparenza bravi,
educati, impegnati, in realtà covino in cuor loro un sentimento di
rivolta e di odio verso la cultura occidentale, e di riflesso nei
confronti del lavoro dei docenti."
Ma il problema più grande è legato all'aspetto pratico della
convivenza: la conoscenza della lingua, quindi la possibilità di
comunicare. L'apprendimento dell'italiano non è stato mai
adeguatamente affrontato, mancano corsi di alfabetizzazione per i
ragazzi stranieri, che vengono così inseriti in classi con compagni di
due, tre, anche quattro anni più piccoli. E la cosa non fa che
aumentare la problematicità di un'integrazione di per sè non facile.
"Una buona assistenza al ragazzo immigrato deve cominciare
innanzitutto con un corso di alfabetizzazione, indispensabile sia per
l'apprendimento scolastico che per le relazioni sociali", afferma la
Pagani. "Devono essere gestiti in maniera collaborativa, presentati
all'alunno come un arricchimento, al di là del normale orario
scolastico."
Gli insegnanti chiedono inoltre una maggiore presenza del mediatore
culturale, molto più efficace di lunghi e noiosi corsi di
aggiornamento. "Il mediatore è una figura di riferimento in molti
casi", spiega, "è in grado di dare informazioni pratiche, concrete; sa
entrare nel vivo delle storie degli studenti, a partire dalla
situazione socioeconomica e familiare." Così è più facile capire gli
altri. "Del resto, non può ricadere tutto sugli insegnanti: è giusto
che la scuola affronti la questione immigrazione con competenza,
delicatezza e rispetto. Una questione che necessita di molta più
attenzione di quanta non ne abbia".
I ragazzi stranieri sono spesso oggetto di episodi di bullismo, che si
manifestano con la violenza fisica, ma che emergono dai discorsi dei
ragazzi, soprattutto nelle scuole superiori. "Stiamo vagliando gli
elaborati degli studenti delle scuole interessate dalla ricerca", ha
anticipato, "ed è preoccupante notare che il razzismo comincia a
serpeggiare già tra gli alunni delle medie: temi in cui si parla di
purezza della razza, si esalta l'ordine, la "pulizia". Un
atteggiamento di rifiuto non solo verso gli stranieri, ma in generale
verso i più deboli, i diversi, come potrebbero essere i disabili, i
gay, persino i timidi o i più bravi."
"Eppure, il dato che ci ha lasciato più perplessi", conclude la
Pagani," è un altro: di fronte ad un tema sul multiculturalismo gli
studenti hanno preferito parlare delle loro solitudini". E a
insinuarsi questa volta è il rischio che i ragazzi si rinchiudano in
se stessi, proprio loro che dovrebbero essere i protagonisti della
società multiculturale.