Scuola.
Sull’ora di 50 minuti un docente del liceo Martini
e il Gilda berico avevano sollevato il caso.

Recupero o no? Entra la Corte.

E i giudici dicono sì solo se causa della decurtazione è la didattica.

 di Anna Madron, da Il Giornale di Vicenza del 16/2/2006

 

Recupero o non recupero? Il dilemma c’è e nasce dalla confusione che regna tutt’ora nella scuola intorno alla durata delle ore di lezione che in diversi istituti, soprattutto dove le discipline sono numerose, vengono necessariamente ridotte da 60 a 50 minuti per consentire agli studenti di rincasare ad un orario accettabile. Una “decurtazione” non immune da conseguenze, però, visto che tutt’ora in molte scuole superiori il tempo perduto viene recuperato e gli insegnanti, in quanto pagati per insegnare 60 minuti, sono tenuti a rimanere a disposizione degli studenti.

Eppure la sentenza della Corte d’appello dell’ottobre scorso, ottenuta dopo un ricorso presentato da Andrea Pelosi, del direttivo Gilda di Vicenza, va in una direzione diversa e stabilisce che «solo i docenti, per ragioni didattiche, possono decidere, in collegio docenti, di obbligare tutti i colleghi a questi recuperi. Non possono invece farlo i dirigenti scolastici». Un verdetto che «fa chiarezza su una questione delicata come quella dell’orario per studenti ed insegnanti», osserva la Gilda.

Spiega Francesco Bortolotto, coordinatore regionale della Gilda degli insegnanti: «La sentenza della Corte d’appello di Venezia dell’11 ottobre 2005 modifica la sentenza di primo grado del 13 settembre 2002 che aveva confermato la circolare della preside Zeila Biondi. Questa circolare prevedeva, in rapporto alla riduzione a 50 minuti di tutte le sei ore giornaliere dell’orario del liceo artistico “Martini”, un’ora supplementare d’orario settimanale come disposizione obbligatoria e venti ore forfettarie da autocertificare da parte dei docenti (gite scolastiche, uscite didattiche)».

Questa, fa notare la Gilda, la situazione da cui partiva il Martini: un fortissimo pendolarismo degli studenti provenienti anche da fuori provincia; una delibera del collegio docenti che aveva confermato ore di 60 minuti; una riduzione oraria a 50 minuti delle sei ore quotidiane adottata dalla dirigente dopo una deliberazione del consiglio d’istituto che citava sia problemi di trasporto sia motivazioni didattiche come, ad esempio, la curva d’attenzione degli studenti.

Ma veniamo al ricorso presentato da Andrea Pelosi, all’ epoca docente del Martini. «Vi si chiedevano - prosegue il sindacato - due “riforme” della sentenza di primo grado: l’annullamento della delibera che cumulava due fattispecie diverse di riduzione dell’orario (quella per motivi di trasporto che non prevede recupero; quella per motivi didattici, decisa necessariamente dal collegio docenti e che prevede contestualmente l’adozione di forme di recupero obbligatorio); il pronunciamento dei giudici sull’insussistenza dell’obbligo di recupero visti i problemi di trasporto insuperabili all’origine della riduzione oraria. Non si chiedeva invece alcun rimborso degli eventuali “straordinari” che si sarebbero configurati».

«I giudici - sottolinea la Gilda - accettando in toto l’impostazione del ricorrente (riduzione per problemi di trasporto senza obbligo di recupero; riduzione per motivi didattici con obbligo di recupero) dichiarano testualmente che “la circolare fonte di causa cumula in unico atto le due diverse ipotesi di riduzione d’orario realizzando, come dedotto, una terza ipotesi che è priva di alcun supporto normativo ed illegittima”».