Mettiamoci (teniamoci) una croce sopra . di Stefano Borgarelli, da ORA BUCA, 17/2/2006
"Inutile fare esercizi di giurisprudenza o di diritto ecclesiastico su ciò che appartiene all´antropologia culturale. Bisogna rispettare anche le zone d´ombra, per moltissimi confortanti e accoglienti, che sfuggono ai riflettori della ragione." Così un paio d'anni fa, Eco concludeva un articolo sulla questione del crocifisso - già allora in cronaca per la nota campagna di Adel Smith (la Repubblica, 29/10/03). Nell'ottobre dell'anno seguente, i quindici giudici della Corte Costituzionale si riunivano per deliberare se il simbolo cristiano per eccellenza dovesse stare sospeso (appeso) sopra i banchi delle aule scolastiche italiane. La finlandese Soile Lautsi, "libera pensatrice" con prole alla scuola media "Vittorino da Feltre" di Abano Terme, aveva infatti impugnato una delibera del consiglio d'istituto che stabiliva di "lasciare esposti i simboli religiosi (...) anche per incentivare una maggiore educazione all'integrazione religiosa e al rispetto delle libertà di idee e di pensiero per tutti". I simboli religiosi non erano al plurale, di fatto riducendosi a uno solo. La signora Lautsi aveva fatto ricorso nel nome del principio di imparzialità e laicità dello Stato. Il Tar del Veneto aveva trovato fondata la richiesta, spiegando che il crocifisso ha un chiaro significato confessionale. Il crocifisso non sta però in un'aula per legge (sta lì invece grazie a due regolamenti, del 1924 e del 1927), i quindici giudici in toga nera e gorgiere bianche della Corte non si erano perciò potuti pronunciare. E' di questi giorni l'ultimo atto dell'esercizio di giurisprudenza (amministrativa). Il Consiglio di Stato respinge la richiesta della signora Lautsi. A corredo della sentenza, 19 cartelle con un loro filo, perfettamente logico per alcuni, secreto da logica capriola per altri. Merlo, su Repubblica del 16/2/06: "Nella sussiegosa declamatoria asserzione che la croce è il simbolo dei “valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato”, c’è infatti la più sprovvedutamente autorevole celebrazione del paradosso dell’identità dei contrari. Neppure le parallele convergenze di Moro reggono il confronto." Capitolo chiuso, comunque. Esercizio (giurisprudenziale, nonché sofistico) inutile (non per tutti: per la signora Lautsi). La tesi di Eco è assolutamente ragionevole. In un paese dove la religione cattolica si vede riconoscere lo speciale status di "patrimonio storico del popolo italiano" (pronuncia dell'Alta Corte Costituzionale); in un paese unico ad avere la Santa Sede, per cui "è ridicolo non rendersi conto che [...] la presenza di questa formidabile autorità religiosa, etica e morale è maggiore che in altri paesi" (Cacciari, intervista a Repubblica del 16/2/06); in un paese in cui si urla che ai gommoni di disperati, bambini o non bambini, bisognerebbe rispondere a cannonate: "queste le “cristiane” parole dei più scalmanati (non solo leghisti) nel difendere poi l’obbligo di crocifisso nelle scuole" (Flores D'Arcais, Lettera aperta agli amici credenti, MicroMega, Numero 5, 2003); in un paese così, "rispettare le zone d´ombra, per moltissimi confortanti e accoglienti, che sfuggono ai riflettori della ragione", sembra via assolutamente - non relativisticamente, cioè - obbligata. |