Ratzinger torna a parlare di «sana laicità» e difende l'interventismo della Chiesa. Scuole, il papa ci mette la croce.
«La religione va riconosciuta come
presenza comunitaria pubblica», Mimmo de Cillis* da il Manifesto dell'11/12/2006
Ne aveva già parlato di ritorno dalla Turchia, facendo il bilancio del suo viaggio e dipingendo un inatteso elogio del paese di Erdogan e dei lupi grigi. Ieri Benedetto XVI, dopo il bagno di folla (e di polemiche) del giorno dell'Immacolata - con il corteo papale che ha sfilato per le vie del centro di Roma - è tornato sul tema, cruciale, della laicità dello stato e del ruolo pubblico della religione. Un tema su cui si gioca la partita più importante per la santa sede, quella sulla capacità di «orientare» (si potrebbe dire «influenzare») la vita civile. Ratzinger ha trovato nella Turchia un singolare esempio di nazione in cui la laicità dello stato (scritta nella Costituzione) non significa totale esclusione della religione dominante (in quel caso l'islam) dalla vita della comunità civile. Che il capo del dipartimento statale per gli affari religiosi (una sorta di «ministero del culto») sia un muftì, un vero leader religioso, non gli è dispiaciuto affatto. Anzi, lo ha visto come un modello se non da imitare almeno da guardare con interesse nella ricerca di una formula per coniugare fede e stato laico, religione e vita pubblica. E così, dopo alcuni giorni di riflessione, l'occasione si è presentata nell'intervento al convegno nazionale dell'Unione giuristi cattolici italiani. Benedetto XVI ha contestato il significato corrente che ha assunto il termine «laicità» e illustrato il concetto di «sana laicità», ben lontana, a suo dire, dal laicismo ideologico e pregiudizievole. «Oggi - ha detto Ratzinger - la laicità viene comunemente intesa come esclusione della religione dai vari ambiti della società e come suo confino nell'ambito della coscienza individuale. La laicità si esprimerebbe nella totale separazione tra lo stato e la Chiesa». Questa non avrebbe titolo a intervenire «su tematiche relative alla vita e al comportamento dei cittadini; la laicità comporterebbe addirittura l'esclusione dei simboli religiosi dai luoghi pubblici destinati allo svolgimento delle funzioni proprie della comunità politica: da uffici, scuole, tribunali, ospedali, carceri». E' una concezione che la santa sede non può condividere, in quanto basata su «una visione a-religiosa della vita, del pensiero e della morale: una visione, cioè, in cui non c'è posto per Dio», e in cui «ogni intervento diretto della Chiesa in tale campo sarebbe un'indebita ingerenza». Ecco invece il concetto di «sana laicità», che implica «l'effettiva autonomia delle realtà terrene, non certo dall'ordine morale, ma dalla sfera ecclesiastica». Lo stato, dice Ratzinger «non consideri la religione come un semplice sentimento individuale, che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario, la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili, come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria pubblica». Questo significa che a ogni comunità religiosa va riconosciuta piena libertà di culto «purchè non in contrasto con l'ordine morale e non pericolosa per l'ordine pubblico», e che la chiesa ha tutto il diritto, in quanto «presenza comunitaria pubblica» di dire la sua sulle questioni pubbliche. Al contrario sarebbe espressione della sua «degenerazione in laicismo, l'ostilità a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione, alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche». Il papa punta l'attenzione «sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani», nei quali la chiesa è chiamata «alla difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la dignità». «Questi valori - sottolinea il pontefice - prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull'uomo e sul suo destino». Torna in cattedra, insomma, il Ratzinger filosofo, che indica allo stato, agli intellettuali, alle istituzioni, di quale errata visione di laicità sono imbevuti. E segnala con preoccupazione che proprio quel tipo di laicità ad excludendum «sembra essere diventato quasi l'emblema qualificante della post-modernità, in particolare della moderna democrazia». Il discorso si farebbe ancora più intrigante se si chiedesse al papa (o a una scuola teologica di sua fiducia) di elaborare un modello di stato che contempli la laicità ad includendum, che abbracci cioè la religione nella sfera pubblica. Magari indicando un'esperienza paradigmatica: saranno gli Stati Uniti di Bush e della sua dottrina teo-con? Sarà l'Italia del Concordato e del crocifisso nelle scuole? Sarà la Turchia del muftì-ministro? E ancora: quale laicità è possibile in paesi che non hanno le tradizioni ellenico-cristiane? Non sorprenderebbe che il professor Ratzinger tornasse ancora su un tema che accende il dibattito, non solo in Italia e in Europa.
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