Dal secondo ciclo all'Università/1:

perseverare è diabolico.

da TuttoscuolaNews  N. 240, 3 aprile 2006

 

La Confindustria insiste. Ormai il disegno del suo  ufficio  studi  è chiaro. I suoi dirigenti lo stanno riproponendo in tutte  le  province italiane, con la risonanza della maggior  parte  dei  giornali  e  con l'adesione di molta parte della classe dirigente sindacale, politica e buroministeriale.

Nella scuola  secondaria  bisogna  costruire  un  circuito  formativo, quello liceale, dove devono confluire gli  attuali  licei  e  istituti tecnici. Grosso modo l'80% di ogni generazione  giovanile.  Accanto  a questo circuito che si pretende di qualità, un canale residuale per i "falliti"    del    primo,   quello   dell'istruzione  e  formazione professionale.

Lo stesso schema è giocato ora da  Confindustria,  ma  a  proporzioni invertite, per l'università.

A vederla criticamente, infatti, propone di creare  un'università  di massa e dequalificata per l'80% della  popolazione  giovanile,  quella che rilascia titoli di studio ornamentali e che si  possono  acquisire anche a distanza, magari con generose complicità  nel  riconoscimento dei crediti (vedi la recente convenzione tra  Viminale  e  università San Pio V che ha suscitato le ire di Gian Antonio Stella sul "Corriere della sera" del 22 marzo). Concentrare invece le  risorse  (dottorati, internazionalizzazione, qualità  della  ricerca,  ecc.)  sul  20%  di università di eccellenza.

Tradotto in numeri,  significa  che  15  università  italiane  su  78 dovranno appartenere al circuito d'eccellenza, le altre 63  saranno  e dovranno essere, se andrà bene, le attuali scuole medie  del  futuro, che rilasceranno lauree a cui il mondo del lavoro non concederà alcun credito. Prolungare l'istruzione e la formazione per  tutti,  insomma, ma badando bene, apparentemente, a svalutare i titoli di  studio  e  a ribadire che, nel nostro paese, non si può infrangere la  regola  per cui a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto.