Le pagelle Ocse bocciano l’Italia. L’impressione che si ricava dalla lettura comparativa delle pagelle dell’Ocse è che il nostro paese si sia andato a cacciare, negli ultimi decenni, in un angolo dal quale non sembra voglia ancora schiodarsi, a giudicare almeno da quanto fa per i propri giovani. di Marcello De Cecco, la Repubblica del 4/4/2006
Qualche giorno fa, l’OCSE ci ha dato la pagella. La prestigiosa istituzione parigina che, nata per la somministrazione programmata delle risorse del piano Marshall alle nazioni europee, si è poi trasformata nella principale think tank economica occidentale, ha infatti pubblicato il suo Factbook 2006, nel quale raccoglie le serie economiche più rilevanti, relative ai principali paesi sviluppati, suoi membri. Il factbook contiene una nutrita scheda statistica per ciascun paese, alla quale la tecnologia Internet attuale ha reso possibile aggiungere un pulsante che fornisce la performance relativa del paese stesso nei confronti di tutti gli altri esaminati. E’ dunque una pagella di tipo particolare, che non contiene giudizi soggettivi, ma le tabelle e i grafici che vi compaiono, confrontati a quelli degli altri, fanno sì che il giudizio sul singolo paese possa esprimerlo il lettore. I nostri principali quotidiani hanno, nei giorni scorsi, già riportato che il bilancio che dalla scheda italiana è possibile fare della performance economica italiana nell’ultimo decennio, è pesante. Vale la pena esaminare dunque le principali voci della nostra pagella, e confrontarle a quelle degli altri, per cercar di comprendere le ragioni di tale giudizio, pressoché unanime, della nostra stampa. I dati sulla crescita del PIL nel 2005 l’OCSE li aveva già forniti all’inizio di marzo, e l’Istat li ha successivamente confermati. Crescita zero per l’Italia. Poi l’Istat ha rifatto i conti e ha corretto lo zero in uno 0,1. Rimedio peggiore del male, si potrebbe commentare, perché la correzione non si addice ad una istituzione statistica nazionale che in passato ha conosciuto momenti di grande prestigio e perché la modifica è irrisoria. Nelle tabelle comparative del factbook vediamo che l’Italia, negli ultimi dieci anni, è in coda agli altri paesi. Insieme alla Germania, suggeriscono molti medici pietosi, come se ad "essere in due si pianga meglio". Ma i dati del 2005 dicono pure che ora in coda alla lista ci siamo solo noi, dato che la Germania ha ripreso a crescere (l’uno per cento) già nel 2005, mentre per noi l’Ocse si aspetta un 2006 ancora magrissimo. Quel che impressiona, e dovrebbe impressionare anche i tedeschi, è che la media della crescita dei paesi del G7 nel 2005 è stata del 2.6%, quasi tre volte quella tedesca, mentre per noi il multiplo è assai maggiore. Visto che gli stessi dati mostrano che i consumi sono restati piatti in Germania nel 2005, la crescita tedesca è venuta dalla robusta performance delle esportazioni. Ed è proprio qui il punto debole del nostro paese. Le schede Ocse mostrano infatti che la domanda mondiale è, negli ultimi anni, stata trainata dai consumi americani e dagli investimenti asiatici e sudamericani. Su questi mercati tedeschi e giapponesi hanno fatto faville, per quanto riguarda la vendita di beni di investimento ad elevato contenuto di tecnologia, che è quanto gli importatori richiedevano, in particolare la Cina. A guardare la struttura del nostro export, si vede che esso difetta proprio dove eccellono tedeschi e giapponesi. Entrambi vendono beni a bassa tecnologia in quantità trascurabili, mentre noi ne vendiamo ancora per il 30% del totale del nostro export, mentre si sono specializzati nei beni a tecnologia medio alta e alta, che costituiscono ormai la quasi totalità del loro export.
Noi italiani invece, pure ancora ben presenti
nel comparto a tecnologia medio alta delle esportazioni, siamo quasi
del tutto assenti in quello a tecnologia alta. Sui ventinove paesi
dell’Ocse siamo sesti a partire dal basso. Peggio di noi stanno solo
Spagnoli, Turchi, Slovacchi Neozelandesi e Islandesi. Il nostro export
di beni ad alta tecnologia è l’11% del nostro totale, in confronto al
22% del totale EUR 15 e al 24% del totale Ocse. Forse ci aiuta sapere, dal factbook, che il Pil per ora lavorata è cresciuto al tasso dell’1,37% in Spagna tra 2002 e 2004, mentre è diminuito dello 0.31% annuo in Italia, (uno dei soli due paesi Ocse a registrare crescita negativa di questa cruciale grandezza). Sappiamo anche che il Pil pro capite spagnolo resta ancora di circa il 20% più basso di quello italiano, e questo ci fa presumere salari monetari più bassi dei nostri, mentre l’andamento dei valori unitari delle esportazioni spagnole è più favorevole del nostro e lo stesso vale per i prezzi alla produzione. Segno che gli imprenditori spagnoli si contentano di profitti minori pur di mantenere o guadagnare quote di mercato estero, mentre notoriamente non lo hanno fatto quelli italiani. Infine, il tasso di crescita del Pil, che in Italia è stato infimo nel decennio, ha registrato ben maggior brillantezza in Spagna, specie per via della crescita della domanda interna. E si sa che, quando cresce il prodotto, cresce anche la produttività. Le pagelle dell’Ocse ci dicono come siamo andati in passato, e su questo "sunt lacrimae rerum", purtroppo. Ad aggiungere mestizia, aiuta quella parte della pagella che riporta dati proiettati sul futuro. Questi sono i dati sull’educazione, sullo stato delle scuole e delle università, della ricerca scientifica, sulla penetrazione dei computer tra la popolazione, sugli accessi a Internet, sulle esportazioni di beni della Information Technology, sulle esportazioni di servizi. Sono dati, questi, che ci dicono quale futuro i vari paesi si stanno preparando, investendo nei propri giovani, dotandoli di tutto quel che serve a metterli in grado di competere con la parte più produttiva del resto del mondo. Gli italiani, lo abbiamo visto, sono ancora prigionieri di una struttura produttiva ed esportativa obsoleta, in vista del progresso gigantesco delle economie asiatiche nei settori nei quali si sono specializzati. Per trarsene fuori alla svelta, bisogna educare meglio che sia possibile i lavoratori di domani, attrezzandosi per eccellere in campi come la ricerca scientifica e la fornitura di servizi ad alto valore aggiunto. Guardando ai dati Ocse, non sembra proprio che lo stiano facendo e nemmeno che stiano preparandosi a farlo. Le performance dei nostri quindicenni, confrontate a quelle dei loro coetanei dei paesi Ocse dal famoso progetto PISA, sono infatti tra le peggiori sia in campo letterario che scientifico. L’Ocse non lo dice, ma è noto altresì che tali dati divengono assai peggiori per il Sud del nostro paese, se si fa la disaggregazione tra aree geografiche. Anche le risorse che il nostro paese destina alla istruzione terziaria e alla ricerca scientifica sono assai inferiori a quelle dei principali nostri competitori attuali e di quelli futuri. Ed è veramente basso il numero di ricercatori che conta l’Italia, in confronto a quello di quasi tutti i paesi sviluppati o in corso di rapido sviluppo. Nella educazione secondaria e primaria quel che si spende non è poco, ed è certamente vero che uno squilibrio strutturale esiste tra disponibilità di insegnanti, che è alta per via della caduta precipite del tasso di incremento della popolazione nell’ultimo trentennio. Ciononstante, la scolarizzazione dei nostri lavoratori è ancor oggi lamentevolmente bassa, e ad essa purtroppo corrisponde una situazione anche peggiore per quanto riguarda gli imprenditori, il 75% dei quali ha solo il diploma di scuola media inferiore. L’impressione che si ricava dalla lettura comparativa delle pagelle dell’Ocse è dunque che il nostro paese si sia andato a cacciare, negli ultimi decenni, in un angolo dal quale non sembra voglia ancora schiodarsi, a giudicare almeno da quanto fa per i propri giovani. Ma nemmeno siamo stati capaci di perseverare nel modello tradizionale di sviluppo che avevamo scelto nel primo dopoguerra. Mentre, infatti, la diffusione di automobili per abitante è cresciuta fino a divenire una delle più alte del mondo, la costruzione di autostrade è stata la più bassa tra tutti i paesi dell’Ocse. E non può bastare a rasserenarci il sapere, come pure ci dice il factbook, che la popolazione carceraria italiana è tra le più basse del mondo. |