Alla Camera dei deputati sta iniziando il suo
iter una proposta di legge
(la n° 322 del 3 maggio, a firma di Paolo Cento) che vuole abrogare
l’ipotesi di reato nel caso di occupazione di scuole ed università da
parte di studenti.
Occupazioni scolastiche depenalizzate? E' buonista.
di Tiziano Tussi da
Liberazione del
27/8/2006
Alla Camera dei deputati sta iniziando il suo
iter una proposta di legge (la n° 322 del 3 maggio, a firma di Paolo
Cento) che vuole abrogare l’ipotesi di reato nel caso di occupazione
di scuole ed università da parte di studenti. Il reato di interruzione
di pubblico servizio, articolo n° 340 del codice penale, rimane, ma
non si applica, dice il testo, nel caso «di occupazione di edifici
scolastici o università da parte di studenti, se non nei casi in cui
essi si siano resi responsabili di danni all’edificio o ai beni
strumentali in esso presenti». Un’idea buonista e assolutamente
sbagliata. Vediamo perché.
Le occupazioni di scuole ed università sono sempre state momenti di
scontro: col potere, per mettere in discussione le modalità della
trasmissione del sapere. Uno scontro che ha anche portato nei decenni
a nuovi e più avanzati equilibri. Gli studenti sono sempre stati
coscienti di interrompere un pubblico servizio. Avevano il senso di
questa rottura e anche il senso della profondità delle loro proposte.
Basta pensare al grande movimento del sessantotto, e ai reali
cambiamenti che ha prodotto. Poi la controparte ha recuperato, e nel
tempo, altri movimenti sono entrati in gioco: il settantasette, la
pantera, eccetera. Lo sforzo di rompere è necessario per dare un senso
alla rottura. Se si toglie questo senso, cosa resterà dello scontro?
Per un frainteso senso di protezione verso i giovani, la proposta di
Paolo Cento finisce per rafforzare il progetto del potere
istituzionale di trattare ciò che accade nelle scuole come un semplice
divertissement, un gioco. Lasciamoli fare, tanto poi non cambia nulla.
Il ministro Berlinguer voleva rendere legale una settimana di
vacanza-occupazione nelle scuole a novembre (a quel punto dell’anno
gli studenti sono stanchi delle lezioni e quindi...): le occupazioni
ridotte a pura ritualità.
D’altra parte, il ritirarsi dello Stato da un luogo pubblico come la
scuola, il fatto di abbandonarla alla volontà più o meno chiara e
sincera di gruppi di studenti, significa una destrutturazione
preoccupante del livello pubblico e collettivo. Il senso dello stato è
già carente in Italia e nelle nostre scuole. Perché rafforzare questa
deriva qualunquistica?