SCUOLA

Tra i banchi senza una legge.

Iaia Vantaggiato, da il Manifesto del 21/9/2005

 

Far partire una riforma, peraltro priva di qualsiasi copertura finanziaria, a pochi mesi dalla fine della legislatura sarebbe stato di certo un azzardo. Lo ha capito sin troppo bene Letizia Moratti che docilmente ha ceduto alle richieste della Conferenza Stato-Regioni bloccando qualsiasi forma di sperimentazione e rinviando al settembre del 2007 l'avvio del riordino del secondo ciclo. Sembrerebbe un esordio di anno scolastico di cui andar fieri ma in realtà la scuola ha ben poco di che cantar vittoria. Primo, perché la famigerata legge 53 verrà comunque approvata in consiglio dei ministri il prossimo 17 ottobre nonostante i pareri negativi e il coro di critiche con cui è stata accolta. Secondo, perché incerti e confusi appaiono gli scenari che potrebbero delinearsi all'indomani delle consultazioni politiche previste per la primavera del 2006. Mettiamo che l'attuale maggioranza venga riconfermata: la scuola secondaria che ne uscirà accentuerà il dualismo tra istruzione e formazione professionale, tenderà a privilegiare i licei rispetto agli istituti tecnici del cui destino peraltro - quanto a programmi e ad eventuali sbocchi professionali - nulla sinora è stato detto con chiarezza, costringerà gli studenti a scegliere del proprio futuro a soli 13 anni e senza consapevolezza alcuna. Per non parlare di un fumoso diritto-dovere all'istruzione che nulla ha a che fare con l'obbligo scolastico e con la conseguente lotta alla dispersione. Quanto alle risorse, solo un obolo potrebbe garantire l'avvio di un progetto che mai ha goduto di simpatia né di approvazione da parte del dicastero delle finanze. Quale sia stato il ministro alla sua guida.

Ma mettiamo pure, nella più auspicabile delle ipotesi, che il centro-destra cada sotto i colpi incalzanti di un rinato e battagliero centro-sinistra. Che ne sarà della scuola? Tornare al modello Berlinguer appare improponibile così come risulta impraticabile l'abrogazione totale della riforma Moratti. Forse riscriverne e rivederne radicalmente alcuni parti sarebbe da considerarsi un gesto responsabile.
Perché l'idea che a ogni cambio di governo a patirne sia sempre e soltanto il nostro sistema educativo - intorno al quale continuano a proliferare esperti e saggi dell'ultima ora - comincia non poco a stancare. La scuola - che prima che da ministri e da improvvisati consulenti è fatta da studenti, insegnanti e genitori - non ne può più di essere al centro di diatribe governative che ne fanno mera merce di scambio tra ministri pronti ad abbandonare le proprie postazioni per posti via via sempre più promettenti. Non è conservativa la scuola e non sono conservatori i suoi protagonisti principali sempre pronti ad accettare qualsiasi, benché ragionevole, cambiamento. Di questo i partiti dell'Unione devono essere consapevoli. E - anziché accanirsi a picconare una riforma che pure fa acqua da tutte le parti - dovrebbero sforzarsi di delineare un programma alternativo che ancora manca. Qualsiasi cosa, pur di non far riprecipitare la scuola nel vuoto angoscioso di una «vacatio legis» che, di nuovo, getterebbe tutti nello scompiglio più totale. Un ipotesi, quest'ultima, nient'affatto remota né fantascientifica.

Sarebbe ora di dire basta ai vari Gentile, Moratti e Berlinguer. Sarebbe ora di ascoltare non le voci dei rappresentanti di governo e istituzioni ma quelle - vissute - di coloro che la scuola la fanno quotidianamente e che sono animati da due sole aspirazioni: insegnare ed apprendere. Senza interferenze politiche e indipendentemente dal colore del governo di turno. Non è il modello di un'educazione «neutra e oggettiva» ma l'auspicio di un sistema educativo estraneo alle beghe del Palazzo.