Nella conferenza stampa di
presentazione della
legge finanziaria 2006,
il presidente del Consiglio ha sottolineato con orgoglio che si tratta
di una manovra "preparata in ottanta ore e approvata in quattro ore".
Dobbiamo dire che si vede.
Due interrogativi
Raramente nel passato è stata
presentata una legge finanziaria dai contorni così incerti.
Uno dei pochi punti fermi è
costituito dall’obiettivo di riduzione del disavanzo,
11,5 miliardi
di euro, in linea con gli impegni
assunti in sede europea che prevedono un calo progressivo del rapporto
indebitamento/Pil al
3,8 per cento nel 2006
e al 2,8 per cento nel 2007.
Un altro dato certo è che la
manovra sarà assai più corposa, più di 22 miliardi. La legge
finanziaria infatti autorizza anche nuove cospicue spese che vanno
quindi coperte con tagli in altri capitoli di spesa o con aumenti di
entrate.
Queste cifre, assai scarne,
sollevano perlomeno due interrogativi. In primo luogo, le misure
previste dalla legge finanziaria porteranno effettivamente a una
riduzione del disavanzo pari a 11,5 miliardi? In secondo luogo, quando
anche questo obiettivo fosse conseguito sarebbe sufficiente a
riportare il disavanzo al 3,8 per cento, come concordato a livello
europeo?
La risposta a entrambi i quesiti
è a nostro parere negativa. Cominciamo dal secondo. Le stime più
recenti del Fondo monetario indicano che il disavanzo tendenziale –
prima quindi degli interventi correttivi previsti dalla legge
finanziaria – si attesta al
5,1 per cento
del Pil, quasi 6 miliardi in più di quelli previsti dall’esecutivo.
Nel 2006, quindi, quando anche la manovra avesse pieno successo, il
disavanzo si attesterebbe al
4,3 per cento,
ben al di sopra dell’obiettivo del 3,8 per cento, lasciando al
prossimo governo l’onere di scegliere se attuare una manovra assai
corposa (ancora 22 miliardi, ma solo di riduzione del disavanzo) o
trasgredire gli impegni con l’Europa. In realtà, il disavanzo
tendenziale è probabilmente ancora più elevato di quello stimato dal
Fondo monetario, in quanto non tiene conto dell’inserimento
(occultamento?) nel tendenziale di
vendite immobiliari per una cifra non precisata ma certo non
trascurabile e, come vedremo, di incerta realizzazione. L’eredità
lasciata al prossimo esecutivo sarebbe quindi ancora più pesante.
Le coperture
Questi calcoli presuppongono che
la manovra della legge finanziaria sia pienamente efficace.
Soffermiamoci quindi sul primo dei due quesiti, quello relativo
all’adeguatezza delle coperture finanziarie. In sintesi (ma il quadro
complessivo è ancora incerto, perché non tutti i documenti di bilancio
sono stati resi pubblici) abbiamo un totale di
22,5 miliardi,
che provengono per 12,7 miliardi da minori spese, 4-5 miliardi da
maggiori entrate e la parte restante (5-6 miliardi) da dismissioni
immobiliari.
Anche qui i motivi di
preoccupazione non scarseggiano. Tra le
minori spese,
6,2 miliardi riguardano i ministeri, di cui la parte più cospicua,
circa 2,5 miliardi, dovrà venire da tagli ai trasferimenti alle
imprese private e pubbliche. Su quest’ultima voce sembra proseguire lo
sforzo di razionalizzazione iniziato lo scorso anno, e si tratta di
una conferma positiva (la speranza è che non consista soltanto di
"abbellimenti" del bilancio delle Ferrovie). Ricompare poi un taglio
dei consumi intermedi
(gli acquisti di beni e servizi) per 1,5 miliardi, una riduzione
superiore al 10 per cento della spesa per questa voce. È la
riproposizione di una politica di bilancio iniziata con il decreto
taglia-spese del 2003 e proseguita con la regola del 2 per cento della
Finanziaria 2005. L’insieme di questi interventi comportava per i
ministeri un taglio del 30 per cento di queste spese nel 2005. Tutte
esperienze non particolarmente esaltanti, a giudicare dai risultati
esposti dalla Corte dei conti per il primo semestre 2005: rispetto
all’anno precedente le erogazioni di cassa per i consumi intermedi dei
ministeri sono cresciute del 10 per cento e per gli investimenti del
9,3 per cento.
Nel mondo dell’economia reale,
nessuno penserebbe di poter ridurre progressivamente le spese di
funzionamento di una struttura produttiva lasciandone immutati la
dimensione e i compiti, nel mondo della finanza pubblica questo è
possibile, basta scrivere un articolo della legge finanziaria.
Insomma, è facile concludere che, come è avvenuto in passato, da
questo lato non ci sia da aspettarsi molto. (Un inciso: dai tagli ai
consumi intermedi è esclusa la
sicurezza pubblica.
Forse sarebbe il caso di cominciare a ricordare che la voce ordine e
sicurezza è l’unica, insieme alle pensioni, per le quali la spesa
italiana è superiore alla media europea).
I ricavi dalla
vendita di immobili
(dai 5 ai 6 miliardi, in aggiunta a quelli già celati nelle pieghe del
tendenziale) sono un’altra voce ricorrente nelle ultime leggi
finanziarie di cui poi nel corso dell’anno si perdono le tracce. La
Finanziaria 2005 prevedeva, tra vendite di strade statali (compensate
con il famoso "pedaggio ombra") e di immobili, entrate per 7 miliardi.
A tutt’oggi nulla di ciò si è materializzato nel 2005. Tra l’altro,
l’insuccesso di Scip2 (per la quale in aprile si è dovuto
ristrutturare il debito, visto l’andamento negativo delle vendite) fa
sì che una nuova operazione di cartolarizzazione, il modo per
anticipare gli incassi, sarebbe difficile da collocare sui mercati se
non riconoscendo un elevato premio di rischio agli investitori.
I tagli alla
sanità
(2,5 miliardi) e agli
enti locali (3,1
miliardi) sono invece certamente realizzabili nell’immediato, in
quanto agiscono direttamente sui trasferimenti dal bilancio dello
Stato.
Qui la questione riguarda la loro
congruenza e la loro
sostenibilità. A
quanto pare, anche nel 2005 la sanità produrrà un disavanzo sommerso
(di circa 4 miliardi). Il taglio per il 2006 andrebbe, quindi, a
incidere sulla proiezione di una spesa che già nel 2005 si è rivelata
insufficiente. Quali meccanismi impediranno il formarsi di un nuovo
disavanzo sommerso nel 2006? Tutta la manovra sulla finanza regionale
e locale è frutto di improvvisazione. Bisogna certamente intervenire
sulla spesa locale, ma è difficile pensare di poter realizzare
obiettivi così ambiziosi comunicandoli a Regioni ed enti locali solo
quarantotto ore prima della presentazione in Parlamento della
Finanziaria. Qui c’è un difetto grave delle nostre istituzioni: la
mancanza di un quadro definito delle relazioni finanziarie tra livelli
di governo e di una sede di coordinamento delle politiche di bilancio.
In assenza di ciò, l’autonomia implicita nel
federalismo
non è sostenibile per la finanza pubblica e certo non lo diventa con
diktat dell’ultim’ora.
Le
maggiori entrate
provengono per 1.100 milioni dalla svalutazione dei crediti delle
banche, 900 milioni dalla rivalutazione dei beni di impresa, 800
milioni dalla
tassa sui tubi, 600 milioni da giochi e
scommesse. Sulla partecipazione degli enti locali all’accertamento
delle imposte erariali e sulle misure di contrasto dell’evasione (nel
complesso a quest’ultima voce si possono attribuire circa 650 milioni)
vale quanto scritto da
Giannini e Guerra: misure indefinite e
dagli effetti a dir poco incerti.
Le nuove spese
A fronte di un quadro di
copertura finanziaria così incerto, che non garantisce affatto gli
11,5 miliardi di riduzione del disavanzo (come abbiamo visto, già
insufficienti), si decidono nuove spese e minori entrate per 11
miliardi. Tra queste, c’è la novità degli "oneri
inderogabili" (una
new entry per la legge finanziaria) per 4,5 miliardi, che
includono misure che vanno dalla proroga di agevolazioni fiscali ai
forestali della Calabria, dagli autotrasportatori alla vice-dirigenza.
C’è da chiedersi a cosa si riferisca l’inderogabilità.
La parte restante (6,5 miliardi)
è la "parte straordinaria", con misure per lo
sviluppo e
l’equità.
Non vogliamo giudicare il merito e l’opportunità di questi interventi,
che vanno dalla riduzione del costo del lavoro a sussidi per le
famiglie.
Notiamo soltanto che, allo stato
attuale, questa manovra, anziché migliorare,
peggiora il disavanzo,
rendendo sempre più pericolosa la situazione nella quale ci troviamo.
Sarebbe allora realistico, specie con una manovra da ottanta ore,
limitarsi alla sola correzione del disavanzo, rinviando a tempi
migliori gli altri interventi (tecnicamente sarebbe possibile farlo
con una sorta di fondo negativo, da attivare solo quando, se mai, le
risorse saranno effettivamente raccolte).
La retorica della "Finanziaria
per lo sviluppo" (che coinvolge ampiamente anche l’opposizione e le
parti sociali) rischia di costare molto cara in termini di equilibrio
dei conti, peraltro con effetti molto dubbi sulla
crescita economica
che non si sostiene aumentando l’incertezza sul futuro. Maggiori
vantaggi per l’economia verrebbero se ci si limitasse a ridurre il
disavanzo e si riuscisse a farlo. Sarebbe un atto di responsabilità da
parte dei beneficiari (effettivi o potenziali) di questi interventi
non vestire, per una volta, i panni di Esaù.