L’INTERVENTO.

La musica nella scuola è solo una vuota promessa.

di Alessandro Anniballi, da Il Corriere della Sera del 15/3/2005

 

Il vento cupo del Concilio di Trento sembra soffiare ancora forte sulla musica corale nel nostro paese. L’aristocratica bellezza dei polifonisti della scuola romana, quali Palestrina e Arnerio figli di quel Concilio, dimostra quanto poco accessibile fosse la partecipazione corale alla musica religiosa, confermando il canto romano fenomeno squisitamente specialistico.

Mentre in Germania lo slancio pedagogico di Lutero sollecitava uno spirito profondamente collettivo, per cui il canto da tutti poteva essere eseguito e a tutti era destinato. In questo humus culturale nascevano le grandiose opere di Shutz, di Bach, fino alle opere corali di Brahms. Il coro è la perfetta metafora della visione riformata dell’individuo, per il quale il bene collettivo è l’indispensabile termine per realizzarsi nell’arte e nella società. Questo valore aggiunto conferisce all’attività corale una forte rilevanza pedagogica e sociale.

In Italia ed in particolare a Roma sono stati invece progressivamente e sciaguratamente smantellati i grandi gruppi corali specializzati: si pensi allo splendido coro Rai di Roma, o al complesso delle voci bianche, sempre della Rai, diretto da Renata Cortiglione per non parlare delle realtà amatoriali. Drammatica appare poi la situazione della scuola italiana. Qui sembra in corso un vero e proprio progetto di diseducazione musicale delle nuove generazioni. Nella scuola elementare l’educazione è solo promessa scritta e non prassi formativa: mancano operatori specializzati e spesso si improvvisano esperimenti paramusicali che, nel migliore dei casi, sono soltanto divertenti. La scuola media costituisce una parentesi, non sempre efficace, in cui prevale una visione «gerarchizzante» delle discipline, dove le eccezioni confermano la regola e dopo la scuola dell’obbligo: il nulla.

 

L’esclusione della musica e della storia della musica dai programmi della scuola superiore è a tutti gli effetti una mutilazione invalidante, una scelta censoria incomprensibile ed incoerente, se si pensa che a fronte di questa superficialità ed intermittenza educativa, la musica diventa poi oggetto di studio specialistico non solo dei conservatori, ma anche nelle pubbliche facoltà universitarie. E gli scenari che si profilano, stando alle recenti istanze, impropriamente definite «riformatrici», lasciano intravedere ancor più preoccupanti prospettive che legherebbero l’educazione musicale ad un destino di opzionalità.

 

Negli altri paesi europei i ragazzi, oltre a saper parlare l’inglese meglio dei nostri allievi, cantano in coro e suonano in orchestra. A Roma, perfino visitando la scuola tedesca, si ha l’impressione di varcare la soglia di un altro mondo, dove i ragazzi alle lezioni di letteratura o fisica, alternano ore di studio al piano o al violoncello nelle ariose e tranquille aule di musica. Perché ai nostri ragazzi tutto questo deve essere negato? Perché tanta greve indifferenza da parte delle istituzioni? Per non dire dei livelli di sopravvivenza cui sono costretti i pochi «eroici» gruppi che, anche a Roma, cercano di contrastare la dilagante ignoranza musicale, senza alcun sostegno da parte degli enti locali, circondati da una sorta di silenzio stampa che ad essi preferisce le suntuose «mummie» del mercato. Concentrare l’attenzione e le risorse, coordinare gli intenti e le esperienze per consentire una qualificata educazione musicale dei ragazzi, come degli adulti, potrebbe essere il segno forte di una volontà più vasta: quella di reagire alla miseria culturale della domanda e dell’offerta, cui tutti rischiamo di abituarci.

(scuola media statale E. Quirino Visconti)
Prof. Alessandro Anniballi